Analisi di un mini-racconto di Ernest Hemingway

La scommessa di Hemingway

C’è un mini-racconto di Ernest Hemingway nato per una scommessa.
Non ha titolo e si presenta esattamente così:

For sale. Baby shoes. Never worn.

[“In vendita. Scarpe da bambino. Mai usate”].

L’ha scritto all’hotel Algolquin di New York e gli ha fruttato la miseria di dieci dollari.
A colpire è innanzitutto lo stile, dall’apparenza secca e asciutta. C’è poco. Anzi, pochissimo. Ma non serve altro.

Foto raffigurante il viso di Hemingway

Analisi del racconto

L’autore adotta la struttura di un annuncio economico suddiviso in tre parti.
Nella prima, com’è logico aspettarsi da ogni inserzione che si rispetti, si comunica al lettore che qualcosa è in vendita.
Nella seconda si specifica la natura dell’oggetto posto in vendita: un paio di scarpe da bambino.
Nella terza arriva il pugno nello stomaco: le scarpe in questione non sono mai state usate. Questo significa, con ogni probabilità, che il bambino è morto. O alla nascita oppure poco tempo dopo.

Siamo di fronte a un colpo di scena che il lettore non si sarebbe mai aspettato. E questo getta una luce particolare su questa brevissima narrazione. La morte di questo bambino, infatti, è stata sicuramente una tragedia per i suoi genitori, lacerati da un dolore straziante.

Hemingway costruisce questo racconto su un evidente e drammatico contrasto.
Da un lato, la fredda impersonalità di un annuncio economico. Dall’altro, ciò che l’annuncio stesso sottintende. Hemingway ci mette poi del suo, caricando questa situazione di una notevole dose di crudeltà.

Il vero compito di uno scrittore

I micro-racconti se la giocano tutta su ciò che non è stato detto. Oppure su quanto accade, è accaduto o accadrà dietro le quinte.
La brevità, in altre parole, comporta la sublimazione in senso chimico degli avvenimenti, espressa attraverso una sintesi estrema.

All’immaginazione del lettore è affidato il compito di riempire gli spazi vuoti, ricostruendo ciò che può essere successo prima, e cercando al tempo stesso di inventarsi cosa accadrà in seguito, dopo l’ultima parola.

Perché stimolare è il vero compito di uno scrittore.

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