Bilanci

L’orologio a parete scandisce i secondi come colpi di martello su una parete che resiste. La forchetta nell’acquaio rompe l’equilibrio sul piatto sporco di sugo, emettendo un suono freddo come la sua superficie.

Un altro sabato sera è arrivato, con tutti i bilanci che si porta dietro e i conti non quadrano nemmeno stasera. Il telegiornale racconta i guai del mondo, ma le ingiustizie, la disparità non indignano Lucilla che pure li sente: stasera niente è più insopportabile del suo modesto dolore. Ha deciso di passarlo a casa, da sola, lucida per guardare in faccia tutti i suoi demoni. Da sbronza le sembrano anche più minacciosi di quanto siano in realtà: l’euforia amplifica il suo timore e ha il terrore di tornare lucida e guardarli con la sobrietà che meritano.

Basta persone che con lei non c’entrano niente, che siano donne con demoni diversi o simili ai suoi, da cacciar via per qualche ora, o uomini a cui stare abbracciata il tempo di un amplesso, poco importa.

Stasera Lucilla li guarda bene in faccia, li chiama per nome: bisogno d’amore, un figlio o una figlia. Ne immagina i tratti, il colore dei capelli, l’ampiezza delle narici, la curva delle lebbra, il profumo della pelle, cercando le somiglianze che lo rendono suo.

Adesso, però, chiama per nome anche i suoi successi: i suoi articoli, la sua firma sul giornale tutti i venerdì, il giornale della sua città, dove tutti la conoscono, anche solo di fama. Lucilla Di Benedetto in quell’angolo di mondo è qualcuno.

Il colpo di grazie glielo aveva dato il suo avvocato, non il suo quasi ex marito, cui spettava a pieno titolo quel diritto, il dovere di quella confessione. <<Avrei dovuto dirtelo prima, ti chiedo scusa, non ne ho avuto modo.>> Queste le parole pronunciate, al telefono, a fine turno, dal dottor Pasquale De Piscopo, prossimo primario del reparto di chirurgia, marito agli sgoccioli, compagno pieno di premure di Veronica, giovane dottoressa fresca di master e traboccante di incontenibili ambizioni.

Interpretazione corretta di quelle apparenti scuse, visto il soggetto che le aveva pronunciate, era però un’altra: “Hai ragione, ma sai, io salvo vite, non ho tempo per le tue recriminazioni”.

Lucilla stasera pensa agli anni sprecati a rimandare, agli altri scanditi dai tentativi falliti. La gioia per ogni ritardo la custodiva come una delle emozioni più belle mai provate. Forse era proprio il mancato coronamento a felicità a renderlo così speciale, come ogni amore che non sboccia e resta intrappolato nel rimpianto, anziché affossato dalla delusione.

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