“Croci rosse” – Sasha Filipenko


Voto: 5 stelle / 5

E’ stato pubblicato per primo in Italia da E/O il secondo romanzo di uno scrittore bielorusso, Sasha Filipenko, “Croci rosse”. Due personaggi straordinari, un giovane arbitro affranto dalla vita e un’irresistibile anziana che ha attraversato il ‘900, in Russia ed Europa.

Alzheimer, memoria labile

Buona la seconda per Sasha Filipenko. Non è il romanzo d’esordio dello scrittore bielorusso ad uscire per primo in Italia, ma il titolo successivo, “Croci rosse”, pubblicato a fine agosto 2021 dalle Edizioni E/O (188 pagine, 16 euro). Ha preceduto “The ex-son”, di prossima pubblicazione, come annuncia la casa editrice romana. I lettori italiani potranno così apprezzare questo giornalista, sceneggiatore e autore di programmi satirici. Nato a Minsk, ha studiato a San Pietroburgo e scrive in russo.

Le croci rosse sono quelle che un’anziana malata d’Alzheimer ha tracciato sugli appartamenti del condominio, per assicurarsi di ritrovare il suo, almeno fino a quando ricorderà il significato di quei segni. Ma sono anche le croci disseminate dalle dittature che si sono scontrate nel Novecento, simboli di sangue e di vergogna. Il sangue delle vittime, la vergogna dei responsabili e dei complici di tante morti evitabili.

Croci rosse sulle porte nel condominio

Un palazzo nel centro di Minsk, in Bielorussia. Una novantunenne con una diagnosi recente della malattia. Croci non molto grandi, ma molto rosse sulle porte. Per ora è compromessa solo la memoria a breve termine, non ricorda quanto accaduto poco prima. La stessa Tat’jana Alexeevna lo spiega al nuovo vicino, che ha fermato sul pianerottolo per presentarsi. Presto sarà intaccata la memoria profonda, poi toccherà al linguaggio e successivamente alle facoltà motorie. L’anziana fa leva sul bastone, emettendo un sospiro prolungato, di rabbia non di autocommiserazione. Finirà i suoi giorni muta, dice, perchè in cielo vogliono così. Lassù la temono, per le troppe domande che avrebbe da rivolgere.

Sulle prime, Alexandr si mostra cortesemente indifferente. È disturbato da quella presenza sul ballatoio, mentre si appresta ad avviare una seconda vita, nel nuovo appartamento della città dove si è trasferita la seconda famiglia della madre. Si ritrova a voltare pagina con tanti dubbi, a trent’anni non ancora compiuti e con una bambina di tre mesi. Sta per aprire un capitolo inedito, in un Paese straniero, di cui non sa niente e tra gente di cui sa perfino meno e che non avrebbe neppure fretta di conoscere.

Pronto a riprovare a vivere

Fine della prima puntata” della vita di Alexandr, scrive Filipenko, “pronti per la seconda, per riprovare a vivere”. La felicità ha sempre un passato ed ogni dolore troverà un futuro, aggiunge.

Strepitosi, l’uno e l’altra, il giovane di cui non sappiamo ancora niente e la vitalissima anziana, prodiga invece di racconti sul proprio vissuto. Anche sul suo modo di pensare: nel corso della detenzione in un gulag, ad esempio, si è inventa da sola un dio personale, che tratta e strapazza come un amico. Sono due personaggi letterari a dir poco straordinari, in un romanzo di lettura assolutamente agevole, sebbene la trama non lo sia affatto. Ma le complicazioni sono tutte risolte dallo scrittore e non ricadono sulla narrazione, prodiga di risposte alle curiosità del lettore. Tanto merito va riconosciuto anche alla traduttrice dal russo, Claudia Zonghetti, per avere valorizzato le qualità dell’autore.

La vita ha dato la vita ha tolto

Non è una storia perfettamente contemporanea. Guarda molto all’intero Novecento ed è in parziale asincrono rispetto a noi, ambientata nei primi anni del Duemila. Boris Eltsin ha da poco lasciato il Cremlino al giovane Vladimir Putine e in Bielorussia già governa l’eterno Lukashenko.

Alexandr è arbitro di calcio professionista, addolorato da una vita che gli ha dato, ma gli ha tolto.

La sua Lana era bellissima, la più bella di Ecaterinburg nel nuovo millennio”.

A Tat’jana, invece, la vita sta togliendo la memoria. Ogni volta che incontra il giovane vicino sul pianerottolo è come se lo vedesse per la prima volta. E tutte le volte si presenta, affabile e comunicativa, concludendo immancabilmente con l’invito a entrare in casa, per completare la conoscenza. Un appartamento che sa di antico, sembra lo studio di un pittore. Tele dovunque, non un gran che, la desolazione fatta quadro: distese di toni pastello, persone senza volto, città senza colore. Al centro della stanza, un dipinto grigio scuro, senza il minimo tratto o disegno. Eppure è finito: rappresenta la sua vita, l’ha realizzato Tat’jana. L’artista è lei.

È nata a Londra, da genitori russi. La mamma, ballerina, è morta nel darla alla luce, bimba non bella e che resterà insignificante per tutta la vita. Dopo la rivoluzione bolscevica, il padre aveva deciso di rientrare in Russia, convinto di riuscire a tenerli a bada, quelli. Non aveva torto, la ragazza è ammessa a frequentare un istituto aperto solo ai figli della nomenclatura.

Segretaria nel Ministero degli esteri bolscevico

Col genitore impegnato in missioni all’estero, vivere in Europa le guadagna una conoscenza delle lingue (italiano, francese, inglese, tedesco, oltre al russo) che attira l’attenzione del regime sovietico. Viene assunta come dattilografa dal Commissariato del Popolo agli esteri.

Col crescere della fiducia in lei, aumentano i fogli sulla sua scrivania. Decine di documenti: verbali in codice, relazioni, appelli, richieste di cittadini stranieri, lettere di cittadini russi all’estero. Con il tempo e con la guerra contro Hitler, arrivano anche rapporti riservati. In uno, la Croce Rossa Internazionale ricorda che i prigionieri di guerra russi non sono tutelati dalla Convenzione di Ginevra, mai riconosciuta dall’URSS.

Il regime sovietico è spietato, con i suoi oltre che col nemico. Le purghe di Stalin non risparmiano nessuno… nemmeno lei e i suoi affetti.

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