“Diceria dell’untore” – Gesualdo Bufalino


Voto: 5 stelle / 5

Dieci anni di revisione ininterrotta e di pressioni da parte dell’editore Sellerio hanno permesso al professore siciliano in pensione Gesualdo Bufalino di esordire come romanziere nel 1981. Il risultato è “Diceria dell’untore”, vincitore del Premio Campiello dello stesso anno. Un libro che mi ha lasciata ubriaca.

Trama di Diceria dell’untore

Ambientato nel 1947, “Diceria dell’untore” racconta l’esperienza che l’autore ha vissuto in un sanatorio siciliano a causa della tisi. Lo ha iniziato negli anni ’50 e ripreso nei ’70. Diversamente da quanto può far pensare il titolo non tratta della peste, ma di questa condizione di malattia che anche i guariti sono destinati a portarsi dietro, mai sanati veramente.

“Io ne ero evaso, per chissà quale disguido o colpo felice di dadi, ma, anche se salvo, più derelitto e più triste. Simile a un vetro ragnato, a un parabrezza scheggiato da un sasso; ricco, ma d’una ricchezza furtiva e inusabile, moneta di mala zecca; giovane solo a metà, e vecchissimo l’altra metà, sarei ora disceso fra gli uomini”

Al centro della narrazione c’è la storia d’amore con Marta, una donna eterea di cui si scopriranno i segreti solo alla fine della storia. Questa storia d’amore è fatta più di parole che di corpi, ma fornisce l’occasione per molte riflessioni sul confine fra la vita e la morte.

Recensione

Da qualche commento ricevuto sulla scrittura di Bufalino mi ero fatta l’idea di una sorta di Carlo Emilio Gadda che mi avrebbe intortato il cervello e impedito di rintracciare il filo.

Invece mi sono trovata davanti a una scrittura musicale, inevitabile, “archeologizzante”.

Avete presente quando la luce del mattino “si smaglia” sul letto? O quando la pioggia “batte il suo mite alfabeto”? Si resta estasiati dai dipinti a penna di Gesualdo Bufalino e poco conta se si è perso un dettaglio nella trama o se non si è riusciti a mettere a fuoco qualcosa: lo si perdona, fiduciosi, sempre.

“Un sangue immenso, seminato di bollicine rotonde, le irruppe dal petto e allagò le lenzuola, enfatico, esclamativo”

Il titolo “Diceria dell’untore” allude allo sproloquio di un malato: sproloquio che l’autore vuole minimizzare, come anche dice nell’intervista-conversazione con Leonardo Sciascia introduttiva alla mia edizione Bompiani del 1992: “Parto dal punto fermo che vi siano scritture morali che è un debito rendere pubbliche… Non è il mio caso, dunque perché esibirmi?”.

Consiglio la lettura di questo libro a tutti quelli che hanno voglia di vedere all’opera la ricchezza e la versatilità della lingua italiana. “Diceria dell’untore” è venuto a me perché ho aderito alla condivisa del Gruppo Facebook “La chiave di lettura” che lo ha scelto per il mese di gennaio.

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