Frankenstein: le differenze tra quello dei film e l’originale

Voi potete rinunciare al vostro sogno, ma il mio è un incubo assegnato dal fato e non oso violarlo.

Primo piano del mostro di Frankenstein

Come nasce Frankenstein

Estate del milleottocento e sedici. Villa Diodati. Bellerive, poco distante da Ginevra. Il poeta Lord Byron. Sir Percy Bysshe Shelley, poeta a sua volta. La moglie di quest’ultimo, Mary Wollstonecraft Shelley. La sorellastra di lei, Jane Clairmont (intima di Lord Byron). Il Dott. John William Polidori. La noia.

Umidità e piogge sembra non vogliano concedere requie. Una stagione balorda che, per colpa delle polveri d’un vulcano indiano, costringe gli ospiti di Byron a starsene in casa. Si comincia a discutere. Di letteratura, ovviamente. L’ospite lancia una sfida, un gioco, un trastullo. Scrivere un racconto gotico. Da leggere poi agli altri, sempre per passare il tempo. E (quasi) tutti si danno da fare.

Shelley scrive un’opera breve, intitolata The Assassins. Byron produce il racconto The burial (pubblicato nel 1819 sotto le mentite spoglie di A fragment). Polidori crea il vampiresco Lord Ruthven, protagonista del romanzo breve The vampire. La Wollstonecraft, infine, butta giù quello che diventerà Frankenstein, or The Modern Prometheus, frutto d’un terribile incubo.

Così, almeno, sostiene la leggenda. Non c’è ragione di mettersi a stabilire cosa sia vero e cosa non lo sia. Importano i risultati. Nel caso di Mary Shelley, c’è la fantascienza che muove i primi passi.

L’immaginazione, senza che io lo volessi, si impadronì di me guidandomi: le immagini si susseguivano nella mia mente vivide come non mi era mai accaduto prima, travalicando i confini consueti della fantasticheria.

Chi è realmente il mostro?

Uno scienziato folle crea una sorta di robot ante litteram. Assemblando parti anatomiche sottratte a gente che ormai non sa più che farsene (cadaveri, insomma). Il mostro impazzisce e si ribella al creatore. Lieto fine con distruzione della criatura.

Questo, almeno, è ciò che abbiamo imparato dal cinema, senza sospettare che la storia del mostro, al pari di quella di Dracula, potesse avere origini letterarie. A leggere il romanzo da cui è ricavata si rimane disorientati. O per lo meno sorpresi dalle non piccole discrepanze riscontrate.

Tanto per cominciare, Frankenstein non è il nome della creatura, bensì quello del barone suo artefice. Non basta. Oltre ad essere anonimo, parla. Non a monosillabi, o a grugniti, come si è visto sul grande schermo. In più, nonostante le sembianze tutt’altro che rassicuranti, possiede bontà di cuore e mitezza d’animo. Almeno fino a quando non si rende conto che il suo aspetto provoca terrore e raccapriccio negli altri. Il rifiuto da parte della gente finisce per alterare la sua indole pacifica, scatenando morte e distruzione. In particolare, il rancore si concentra e focalizza sul Barone Frankenstein. Il mostro lo perseguita e gli ammazza l’amatissima e giovane moglie.

Da quel momento, unico scopo del creatore è quello di smontare la propria creazione. Comincia a dargli una caccia tenace e ostinata, che si concluderà tra i ghiacci del Polo Nord con la morte di entrambi.

Tutto questo non corrisponde, se non in minima parte, a quanto sapevamo del mostro prima di leggere il romanzo che ne racconta la tragica esistenza. Non è certo la prima volta che il cinema deforma ad libitum suum un soggetto non originale. Però, qui, le distorsioni sembrano francamente eccessive. E immotivate.
A esse ha cercato di rimediare l’attore-regista inglese Branagh, con una versione più fedele alla fonte letteraria, complice un – è il caso di dirlo – mostruoso De Niro.

Un discorso concernente l’aderenza fra cinema e scrittura porterebbe lontano e forse risolverebbe assai poco, per non dire nulla. Fra le mie intenzioni non c’è quella di analizzare la struttura del romanzo della Shelley. Mi basta avere, in queste poche righe, cercato di rendere giustizia ad un classico della letteratura fantastica mostrando che quasi niente è ciò che sembra.

L’angelo che cade diviene un demonio crudele. È così. Eppure anche il nemico di Dio e degli uomini ha dei compagni nella sua desolazione. Io sono solo.

Commenti