“Ho fatto la spia” – Joyce Carol Oates


Voto: 5 stelle' / 5

Scusate da subito se mi dilungherò, ma anche “Ho fatto la spia”, come altri lavori di Joyce Carol Oates, è così ricco che se ne potrebbe scrivere per giorni. Se non avete voglia di leggere tutto, sappiate che anche stavolta pesca nel torbido: se vi piace questo suo aspetto allora potrebbe piacervi il suo ultimo romanzo.

Se invece avete pazienza…


Trama di Ho fatto la spia

Nella sua prima versione, “Ho fatto la spia” è comparso in forma di racconto sull’”Harper’s Magazine” con il titolo “Curly Red” (2003), ripubblicato poi nella raccolta “I Am No One You Know” del 2004 (trad. it. “Riccioli Rossi”, in “Tu non mi conosci”, 2016). Altri parti del romanzo sono comparse, in forma lievemente diversa, su “Narrative”, “Boulevard” e “F(r)iction”.
Così quel racconto è diventato un romanzo e, di nuovo, la signora Oates scrive una storia forte, dolorosa, disturbante. Di nuovo al centro c’è una famiglia che vive uno dei peggiori incubi che possano capitare. I figli che compiono un’azione deplorevole, i tuoi figli che fanno vacillare i tuoi valori, quegli ideali di rispetto e di fiducia che avevi insegnato loro, o che credevi di aver insegnato.

“Una dolorosa verità della vita di famiglia: le emozioni più dolci possono cambiare in un istante. Tu credi che i tuoi genitori ti amino, ma è te che amano o il figlio che è loro?”

E invece due dei tuoi sette figli uccidono un innocente ragazzino di colore e la tua ultimogenita li tradisce, raccontando un pericoloso segreto che le era stato chiesto di non rivelare mai, perché la famiglia va protetta da tutto e da tutti. Ma può una dodicenne tenere dentro il suo cuore una verità così grande?
La numerosa famiglia Kerrigan è di origine irlandese, cattolica, ma praticante solo da parte di madre, prosciugata dai doveri familiari. Un padre tutto d’un pezzo, severo e autoritario, intransigente coi figli maschi e in adorazione della piccola Violet Rue, la traditrice. Eppure.

“Poiché non potevano averla fatta, una cosa così terribile, diventò Non l’hanno fatta, quella cosa terribile.

Poiché Non può essere possibile diventò Non è possibile. Non era possibile.
Poiché Non ci racconterebbero bugie diventò Non ci hanno raccontato bugie, i nostri figli.”

Cosa fa più male ad un genitore: i figli assassini o vedere tradire la famiglia? Quale dei due “errori” rende più sacrificabile il sangue del tuo sangue? La figlia che tradisce rovina la vita ai fratelli e ai genitori, i quali magari, chissà, invece avrebbero potuto cercare di nascondere tutto, soprattutto il loro fallimento educativo. E l’onestà? Va bene finché si tratta di peccati veniali, a quanto pare, o quando i drammi riguardano altri cognomi e non il tuo… E poi tutto precipita, e mentre leggi precipiti anche tu nel buio, nella distruzione, nella colpa di Violet, che vive come un topo – il titolo originale è, infatti, “My life as a rat” (La mia vita da topo), pensando all’animale come incarnazione del tradimento, ma anche ad un animale cacciato.

Recensione

Ancora una volta la Signora Oates in “Ho fatto la spia” si mette nei panni di un’adolescente che cresce esiliata, una Violet Rue che non smette mai di sperare, perché se lo fai, che cosa può restare? Un personaggio femminile esile che tocca il cuore, che vorresti consolare e salvare. Invece lei, Violet, è spiazzante.

E come già per altri suoi romanzi, anche qui si resta incollati alle pagine grazie ad un ritmo veloce ed una scrittura fluida, in cui non mancano l’introspezione e il pathos, le sue parole che anche qui entrano dentro l’anima come un coltello, lasciando aperte domande e riflessioni: quelle di Violet e quelle del lettore. Soprattutto se il lettore è anche genitore.
Senza dubbio ha un impatto emotivo molto forte, le tematiche (numerose, come al suo solito) che vanno dalla lealtà familiare al razzismo, passando per la violenza sono tutte affrontate ad un livello magistrale. Questa volta non ho trovato verbosità e pipponi esagerati contro qualche suo fermo ideale, c’è un equilibrio perfetto tra tutte le componenti.

Per me, questa autrice è una “maledizione” (che ha il suo corrispettivo maschile in Yates – forse perché finiscono entrambi in “tes”?): quando leggo un suo romanzo, devo farmi violenza per non continuare a leggerla fino alla nausea, per non fossilizzarmi nella sua magnetica scrittura.

Chi ama la Oates avrà l’ennesima conferma della sua bravura e della sua capacità di raccontare le famiglie attraverso gli adolescenti. Chi ancora non la conosce può iniziare da questo.

Di Joyce Carol Oates abbiamo recensito anche “Scomparsa” e “Sorella, mio unico amore“.

Chiara Carnio

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