“Il libro dei libri perduti” – Stuart Kelly

Le opere perdute


Voto: / 5

copertina il libro dei libri perdutiTempo fa, al critico letterario Stuart Kelly è venuta l’idea di scrivere il saggio Il libro dei libri perduti, la cui natura viene precisata dal sottotitolo: Storia dei capolavori della letteratura che non leggerete mai.

L’autore parte da una considerazione interessante: La storia della letteratura era anche la storia della perdita della letteratura. In altre parole, anche le opere che, per una ragione o per l’altra, sono andate perdute, fanno parte della storia della letteratura.

Vengono individuate quattro categorie di opere perdute. La prima è quella degli scritti che sono andati distrutti. Non esistono più, insomma. La seconda è quella degli scritti che sono finiti nel posto sbagliato. O perché rubati, o perché finiti in qualche cestino della carta straccia. La terza è quella dei manoscritti condannati a una fine prematura, l’esistenza mortale dei cui autori si concluse prima della loro opera. Si tratta di tutto ciò che è andato perduto con la morte del suo autore. Infine abbiamo tutte le opere in eterno stadio embrionale, quelle che gli autori pianificarono e abbozzarono, ma senza mai scriverle davvero. La letteratura di casa nostra, fra l’altro, è piena di esempi di questo tipo.

 

La struttura de Il libro dei libri perduti

Il saggio di Stuart Kelly si compone di sessantuno brevi capitoli. In ognuno di essi si analizzano le opere perdute di un diverso scrittore.

Si comincia con la prima opera letteraria in assoluto, della quale non si conosce l’autore e che è andata sicuramente perduta. Si prosegue poi con i grandi classici greci. Di alcuni di essi ci sono giunti soltanto dei frammenti. Di altri ancora si è salvata soltanto una minima parte della loro produzione. E parlo di opere complete, eh. Nell’elenco non manca il grande Dante Alighieri. E nemmeno Torquato Tasso. I grandi nomi a noi familiari sono diversi: John Milton, Walter Scott, Samuel Taylor Coleridge, Johann Wolfgang von Goethe, Charles Dickens, Franz Kafka e infine Sylvia Plath e Georges Perec. Tanto per citarne alcuni.

 

Due riflessioni conclusive

Ma, si chiede Stuart Kelly, è davvero così terribile che un libro scompaia? La risposta, a sorpresa, è no:

Andare smarrito è la cosa peggiore che possa capitare a un volume? Un libro perduto rappresenta, in certa misura, un desiderio da realizzare. Il libro perduto, come la persona che non avete mai osato invitare a ballare, diventa molto più divertente perché può essere perfetto solo nell’immaginazione.

Fantasticare su ciò che poteva essere e non è stato dal punto di vista letterario, va visto come uno stimolo.

Non possiamo sapere, in fondo, se una di quelle opere non ci avrebbe deluso. In fondo, che siano andate perdute può essere molto meglio.

Chiude questo saggio una inevitabile considerazione sulla volontà dell’uomo di lasciare a tutti i costi anche una minima traccia di sé in questo mondo (e Ugo Foscolo ne sapeva qualcosa).

Ogni vita umana produce un’eco, provoca un cambiamento e influenza il nostro modo di pensare e sentire anche dopo la morte della persona specifica, e lo stesso vale per la nostra cultura, un accumulo di innumerevoli vite perdute. Lottiamo invano contro l’oblio, e la lotta stessa racchiude il nostro successo.

 

Stuart Kelly, Il libro dei libri perduti, Milano, Rizzoli, 2006.

Commenti