“Il potere magico”

Paolo sistema l’ultima maglietta in valigia – la partenza è prevista per l’indomani – sotto lo sguardo della figlia Flora che non ha intenzione di perdersi nessuno dei suoi gesti.

Si era trovato invischiato nella faccenda qualche settimana prima quando, ignaro di tutto, era andato con la bambina in una delle visite che faceva su per giù mensilmente alla madre e al fratello. La richiesta gli era stata rivolta dalla mamma mentre si trovavano in veranda: il mese successivo lei si sarebbe assentata da casa per due settimane e Paolo si sarebbe dovuto trasferire lì per occuparsi di Mauro, suo fratello. Chiarissimo: niente di cui discutere. Paolo, preso alla sprovvista, aveva dissimulato meglio che poteva lo sconforto. Cosa poteva fare? Era l’unica volta che gli veniva chiesto di farsi carico del fratello. Controllando che il timbro di voce non mostrasse lo scompiglio che stava provando, aveva rassicurato sua madre: poteva andarsene tranquilla a fare quelle terapie ritenute indispensabili dal medico e di Mauro si sarebbe fatto carico lui.

Dalla veranda, lo sguardo di madre e figlio si allungava verso il prato del giardino dove due figure familiari si muovevano: Flora, otto anni, e suo zio, di una ventina d’anni in più.

Lei, l’aria scanzonata, una nuvola di capelli che si sparpagliava in tentacoli di medusa quando si tuffava ridendo nell’erba, che sobbalzava quando di colpo si girava per controllare se lo zio stesse apprendendo la lezione. Lui, Mauro, sotto lo sforzo evidente dei muscoli rigidi, avanzava appoggiando i piedi con la massima cautela, le braccia fuori come a cercare un appiglio nell’aria, con le mani a stella, occhi e bocca spalancati: sembrava un grosso, goffo volatile pronto a spiccare il primo volo. Di un volatile pareva avere anche la voce, uno stridio acuto ogni volta che stava per perdere stabilità.

I pensieri di Paolo, aggrovigliati, incentrati sull’impresa che lo aspettava, erano stati interrotti dalla voce di Flora:

«Nonna, papà, avete visto? Ce l’ha fatta. Ha imparato a stare scalzo! Non ha più paura!»

Mentre sua madre aveva battuto le mani neanche avesse assistito ad una prima spettacolare, Paolo aveva fatto sì e no un sorriso tirato.

«Bravo, bravissimo zio Mauro! Te l’avevo detto che ce l’avresti fatta. Sei graaande!»

Anche Mauro si era messo a battere le mani ridendo, la testa indietro, ripetendo fino all’ossessione: – Flora e Frutta – come si era da sempre divertito a soprannominare la nipote, lo stesso disco che non si esauriva mai.

Era evidente che Mauro non si poteva spostare dalla sua casa, non era il caso di sconvolgerlo cambiandogli i rituali. Ovvio che bisognava occuparsi di lui.

La mamma energica e piena di risorse nell’accudire il figlio, capace di far fronte a tutte le emergenze, ora aveva bisogno di staccare, di prendersi cura di sé.

Mauro quindi: un cruccio su cui Paolo preferiva non indugiare, qualcosa che stava attento interferisse il meno possibile con la sua vita. Al telefono chiudeva con : – Salutamelo tu – appena la madre tentava di passarglielo. Di che cosa avrebbero parlato?

Quand’era nato, Paolo aveva già nove anni. I primi tempi lo stava ad osservare con lo stesso interesse che prova un entomologo di fronte ad un insetto da studiare per capire com’è fatto, come si comporta, come si muove. Mauro che faticava a camminare, a parlare, a fare tutto quello che i bambini imparano meccanicamente. Poi il tempo era trascorso; l’adolescenza di Paolo si era fatta avanti prepotente con i suoi spiragli insospettati, tanto che se lui guardava a quegli anni l’immagine del fratello non era contemplata. Spariva – ma di questo si ricordava – come avrebbe voluto far sparire Mauro quando arrivava un nuovo amico a casa. Lui che si fermava a guardarlo, la testa inclinata, l’espressione incantata, un po’ di bava all’angolo della bocca che non si curava di pulire. In quei momenti non lo sopportava proprio. Mauro dal canto suo non si arrabbiava mai; quando gli veniva detto di scomparire si allontanava portando con sé i suoi pensieri imperscrutabili e quell’espressione insulsa.

«Cosa c’è da sorridere?» avrebbe voluto gridare Paolo in preda ad un’irritazione che sembrava crescere giorno dopo giorno.

Le attenzioni della mamma, alla morte del padre, erano convogliate ancora di più su quel ragazzo: decisamente troppe secondo Paolo, tanto da non farlo cercare un minimo di autonomia. Vestirlo, lavarlo, fargli trovare tutto pronto, non insegnargli a prepararsi una colazione. Diamine! La convinzione che l’avesse voluto lei così dipendente era perfetta, ottimo tappabuchi per qualsiasi risveglio di coscienza quando, rabbioso, pensava di essere stato relegato come un blando promemoria di figlio, anche se per un lungo periodo era stato l’unico, lui solo. Non aspettava che l’occasione di andare via da casa, il modo efficace per mettere distanza tra sé e il mondo che lasciava lì.

Così aveva fatto: aveva trovato la sua strada, il lavoro, una compagna di vita, poi era nata Flora.

Flora che chiedeva qualche volta di andare dalla nonna e da quello zio che vedeva raramente.

Dal giorno della comunicazione in veranda alla vigilia della partenza, Paolo si era dibattuto tra fastidiosi pensieri, pur se la madre ogni volta che si parlavano al telefono lo rassicurava, aggiungeva degli appunti sull’impeccabile organizzazione familiare: avrebbe trovato tutto pronto, vaschette etichettate in congelatore, casa pulita e ripulita. Mauro, secondo lei, si sarebbe adattato a qualche cambio di abitudine, anzi sarebbe stato contento di passare del tempo con il fratello. Sì, già lo immaginava. Impossibile evitare i suoi abbracci solidi, le braccia che lo artigliavano, i baci umidi di cui cancellare le tracce appena avesse potuto, il suo saluto infinito: – Paaoolo! – le vocali allungate che lasciavano i loro echi nell’aria.

Ed ora tutto è pronto. Flora, seduta sul pavimento della camera, guarda Paolo chiudere la valigia.

«Papà? Papà, sei preoccupato?»

Il respiro di Paolo rallenta, è solo un istante ma che basta per sentir smuovere qualcosa. Ultimamente gli era capitato di avere a che fare con ricordi riportati come da una marea a flussi continui, che lasciavano sensazioni che non riusciva a codificare. Qualcosa di indefinito schiacciava nello stomaco, sembrava voler uscire dalla gabbia fatta di conferme alla realizzazione della sua vita.

«Sei preoccupato per quel potere magico che ha lo zio…?»

Paolo si sente vulnerabile come chi si sia allontanato dalla spiaggia senza girarsi, venga sospinto all’indietro da un’onda e nel percorso si scontri con cocci rotti, taglienti.

«Un potere magico. Come sarebbe?»

«Ti spiego papà: perché lui si accorge delle cose che nessuno vede, voglio dire neanche tu o la mamma …»

«Tipo?»

«Tipo: i grandi credono di vedere tutto tutto dei bambini.»

«E…e non è così, vero?»

«Eh no papà. Non è così. Voglio dire che lo zio vede anche i pensieri degli altri. Hai capito?»

«Mica tanto, Flora…»

«Ti dico questo: un giorno che tu mi avevi portato dalla nonna io stavo pensando alla mamma ed ero un pochino triste, lui mi ha guardato e mi ha detto che anche a lui manca la sua mamma quando non la vede. Ma io mica gliel’avevo detto che pensavo alla mamma! Come faceva a sapere papà? Eh sì, secondo me lui ha davvero un potere magico.»

Poi, con la percezione che hanno i bambini, quando si è creata una disarmonia:

«Papà, è vero tu non hai il potere magico…ma sei bravo anche tu… Secondo me i prossimi giorni sarai bravissimo a badare allo zio.»

«Sì Flora…dovrei farcela…»

«E lo zio leggerà il tuo pensiero se avrai nostalgia di me e della mamma e sarà bravo a badare a te.»

Paolo la abbraccia, con un nodo alla gola pensa che in quel momento Flora è la persona di cui ha bisogno, quella che vede il mondo da una prospettiva diversa dalla sua. E adesso forse gli sta fornendo qualche mattone, quello di cui pensava di essere completamente sprovvisto, per gettare un ponte tra lui e suo fratello nei temuti quindici giorni.

«Papà, a me sono cresciuti i denti nuovi, sono diventata alta e forte, forse a te invece potrebbe nascere un potere magico…»

«Va bene… da domani controllerò ogni giorno, Flora, se sta per spuntare…»

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