“Il tatuatore di Auschwitz” – Heather Morris


Voto: 5 stelle / 5

Il tatuatore di Auschwitz, pubblicato in Italia nel 2018 da Garzanti, è un bestseller che ha venduto oltre un milione di copie. L’autrice sarebbe all’opera per la stesura del seguito del romanzo, che dovrebbe avere come protagonista un personaggio secondario, in questo caso mi pare si parli di spin-off.


Trama de Il tatuatore di Auschwitz

È la storia di Ludwig Eisenberg, per tutti Lale, cittadino slovacco di fede ebraica deportato nel campo di Auschwitz nell’aprile del 1942. Lascia Bratislava a bordo di un vagone adibito al trasporto di bestiame, “le porte vengono chiuse e sprangate, chiuse e sprangate”: Lale non sa che è solo l’inizio del tentativo di distruggere ogni forma di dignità umana, non sa che sarà protagonista del più grande genocidio di cui la storia moderna abbia memoria. Quando se ne rende conto, il suo unico obiettivo diventa quello di poterlo raccontare non appena si sarà reimpossessato della sua vita.

È un uomo forte Lale, ha una personalità carismatica, da leader, e metterà questa sua forza a disposizione di ogni compagno di sventura incroci sul suo cammino, si prodiga per rendere più sopportabile la vita degli altri detenuti e, mentre lo fa, alleggerisce anche il suo fardello, trovando la forza di provare a svegliarsi ancora il giorno dopo.

Lale diviene presto tatuatore del campo di Auschwitz-Birkenau: deve tatuare il numero di identificazione ai prigionieri che arrivano. Non deve guardarli negli occhi, non può instaurare alcun legame con loro o non troverà la forza per proseguire il suo compito, senza contare che i tedeschi cercano il più stupido appiglio per eliminarli il prima possibile.

La sua vita cambia quando conosce Gita, ha trovato ancora un altro motivo per sopravvivere ad Auschwitz. La bellezza di quella ragazza è tutta negli occhi, poco importa che abbia i capelli rasati e il volto e il corpo segnati dalla denutrizione: capisce subito di amarla, “sua madre molto tempo prima gli disse che quando l’amore sarebbe arrivato lo avrebbe capito, sua madre aveva ragione”.

Lale non capisce perché l’essere ebraico possa essere una colpa: è un cittadino slovacco, di Bratislava, “di essere ebraico è una cosa di cui parla più in camera da letto che al ristorante”, perché la sua fede religiosa dovrebbe caratterizzarlo, distinguerlo in maniera così netta?

Credo sia la domanda che qualsiasi ebreo si sia fatto in quegli anni.

 

copertina il tatuatore di auschwitzRecensione

Non è il primo romanzo sulla Shoah che leggo, la letteratura sull’argomento è comprensibilmente più che generosa: lo stupore di come sia potuto accadere si rinnova ogni volta mentre rimane lo stesso.

Mi ha colpito il modo in cui viene raccontato l’orrore: aleggia sempre un’aria di speranza, c’è sempre forza in Lale. C’è da dire che il protagonista e la sua cerchia di amici sono dei privilegiati all’interno del campo, nel senso che non fanno lavori particolarmente faticosi, inoltre, Lale entra nelle grazie del suo “superiore” e, infatti, teme che un giorno la sua voglia di sopravvivere potrebbe essere scambiata per collaborazione con le ss.

Ho pensato che Lale e Gita non si sarebbero mai conosciuti se non fossero stati entrambi deportati in quel campo, lo avranno pensato tante volte anche loro. Così ho pensato a tutte le amicizie e a tutti gli amori nati vicino alle camere a gas e ai forni crematori, a quelli che sono proseguiti fuori e a quelli che non hanno avuto seguito oltre il filo spinato. Sarebbe bello leggerle tutte per trovare forse un senso a tutto questo, per giustificare le coscienze che lo hanno permesso mentre dicevano di non sapere e non dicevano che non sapere era la cosa migliore.

Nessuno è innocente né allora né oggi mentre l’ingiustizia uccide e ci si gira dall’altra parte.

Adelaide Landi

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