Invitation au voyage

Non ponno capire quattro natiche in uno stesso seggio.

Giulio Cesare Croce

Domando rispettosamente venia, mia Amabile Vegliarda.

Forse vorrà essere tanto garbata da esplicare alla mia modesta persona le motivazioni che inarrestabili la inducono ad occludere al mio potente automezzo generosa porzione di sede stradale, mediante caracollante ed incerta sagoma. La sua, tanto per intenderci.

Può essere che, come coloro che non sanno, lei ignori che ciò che il volgo abitualmente appella «marciapiede» s’inserisce prepotente all’interno dell’arredo urbano secondo strategie prettamente funzionali. Qualcuno, ritengo, avrebbe dovuto informarla all’uopo ch’esso si propone lodevoli fina­lità: salvaguardare gli altrui femori, tutelare arti ossa indispensabili alla conduzione d’una esistenza che pretenda d’essere considerata, secondo il sentire comune, “normale”.

Il tessuto sociale, Gentile Madama, rigetta ed aborre contegni non dissimili dal suo, che mal si preoccupa, e ancor peggio si avvede, dei perigli in cui strapiomba chi si veda inopinatamente por­tato per colpe non sue, a cassare da codesto lago di sterco (metafora che rappresenta l’umana esi­stenza) la futile presenza di chi, al pari suo, infesta viabilità e magioni.

L’eloquio da me or ora posizionato nei suoi malfermi padiglioni non rende purtroppo giustizia all’ira funesta che avvampa per le mie vene, rendendo ardua la circolazione di ciò che volontieri vedrei zampillare dalle membra sue incartapecorite.

Mi rattenne dal farlo giustificato timore, nonché devota osservanza, delle legislazioni che ornano il consesso civile rendendo quanto meno tollerabile la maleodorante distesa cui alludevo poche inci­dentali più sopra.

La pregherei pertanto di esimersi dal peregrinare – con modi, oltre tutto, confusamente peripatetici – fuori del selciato tradizionalmente serbato per la pedonale utenza. Ammetta con la schiettezza che sicuramente contraddistingue la sua indole, d’essere preda di chissà quali fluidi sconciamente transitati per la sua immonda cavità orale.

Ceda il passo, ordunque! Sottragga uno spettacolo che non ho più cuore di definire «toccante», al raggio d’azione di bulbi oculari che troppo patirono nel tempo che fu.

Sia cortese. Non mi costringa a trascendere. Non mi obblighi a rigurgitare sulla sua persona quanto d’abominevole nascostamente alberga nei recessi del muscolo cardiaco, indegno, forse, ma non disutile.

Divina creatura m’attende. Essa trepida, pregustando l’amoroso convegno. Impaziente, desto, pronto a sollecitare opportuni corpi cavernosi, adrenalinico mi sento!

Conceda alfine audizione ad accorate suppliche…

SI TOLGA DALLE PALLE!

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