“L’ inventore di storie” – Charles Lewinsky


Voto: 4 stelle / 5

Se leggere, come osserva l’accademica dei Lincei Lina Bolzoni, significa “dare ospitalità ad uno sconosciuto”, siete pronti ad accogliere “L’ inventore di storie”?

Questo romanzo pubblicato dalla casa editrice Sem, 2021, nella traduzione di Valentina Tortelli, è l’ultimo lavoro di Charles Lewinsky, sceneggiatore, drammaturgo, romanziere e saggista, nato e residente a Zurigo. Ringraziamo la casa editrice per la copia cartacea in omaggio.

Trama de L’inventore di storie

Il testo è un viaggio nella Svizzera rurale del XIV secolo osservata con gli occhi di un 13enne. Un punto di vista interessante per rappresentare un’epoca in cui i bambini erano solo considerati degli ‘adulti incompleti’.

Questa scelta, inoltre, regala al testo una leggerezza, non priva di comicità spesso involontaria, che bilancia il rigore storico dell’ambientazione e le difficoltà della vita materiale.

Un’esistenza volta al soddisfacimento dei bisogni primari, minacciata dalle angherie dei potenti, esposta a malattie e ai capricci della natura.

Ma la vera protagonista è l’arte della parola nella duplice accezione di narrare e di ascoltare.

Storie autentiche, abbellite, inventate. Sogni e presagi con la forza di un racconto. Fanfaronate dei soldati di ventura. Fiabe del patrimonio folklorico dove tra spiriti maligni e figure leggendarie non può mancare Belzebù.

Tanto che in esergo campeggia Shakespeare, creatore di indimenticabili mondi fantastici: Chi mangia col diavolo, gli serve un cucchiaione.

La strana coppia

A bucare lo schermo dell’ incipit è Mezzabarba, che sembra ritagliato da una favola. Comparso dal nulla alimentando fantasiose dicerie, vive nel bosco perché preferisce l’eremitaggio. Mette al servizio del prossimo le sue insospettabili competenze pratiche e la sua saggezza, anche se pochi gli vanno a genio.

Eusebius, detto Sebi, appartiene ad un famiglia di coltivatori diretti nei terreni di un monastero protetto dagli Asburgo. Possiede spirito di osservazione, intelligenza, memoria di ferro e animo buono. Un abito mentale concreto (garanzia di coerenza psicologica e storica) gli consente di capire il mondo stabilendo analogie con la natura che ben conosce.

Desidera entrare in convento per imparare a scrivere e per convenienza:

“Penso che un giorno entrerò in convento non perché sia particolarmente religioso, ma perché un monaco ha garantiti i mezzi per vivere, e poi lì non devi lavorare troppo, almeno credo“.

Enchanted boy

La mancanza di un ritratto fisico completo di Sebi, a mio avviso, è compensata dall’immagine nella tela di Hodler in copertina. Esile e forte in uno sfondo simbolista, lo sguardo assorto verso un altrove. Questo bambino è stato il mio Sebi per l’intera lettura, forse un po’ troppo corposa perché un centinaio di pagine in meno non avrebbe alterato la qualità del testo.

La storia

In un villaggio svizzero del Trecento – quando alcuni cantoni erano costretti a stringere alleanze per difendersi dalle potenze vicine -, si consolida il legame tra Mezzabarba e Sebi. Il primo, da mentore, gli insegna a pescare, a giocare a scacchi, “a non fidarsi degli Asburgo” e tanto altro ancora. Intanto centellina la storia del suo misterioso passato.

Frequenti interruzioni accrescono l’interesse del lettore.

Un rapimento sconvolge questo “villaggio di lavoratori timorati di Dio”. Segue un lutto presentato senza derive sentimentali che convince il giovane a entrare in convento.

La breve permanenza è caratterizzata dal contrasto tra ciò che immaginava e ciò che trova. Perché il luogo di santità è afflitto dalle stesse miserie morali del mondo secolare, e forse più. Coinvolto suo malgrado in un fatto di sangue, Sebi è costretto a fuggire: ma dove?

A questo punto scatta una fitta rete di avventure tanto avvincenti quanto complicate. Fughe, nascondigli, cambi di identità, scontri a fuoco, battaglie, nuovi incontri e altrettante storie, perché è durante la fuga che Sebi mette a punto la sua propensione ad inventare storie per divertimento, per il gusto di farlo.

In breve la fuga si trasforma in ricerca. Di chi o di qualcosa?

Prossimo al 14anno si interroga, smarrito, sul suo futuro, non sa cosa fare di sé, perché lontano dal convento e dalla sua dimora “si accorge che obbedire gli dava un appiglio”.

È la prova che sta crescendo. Ma le avventure non sono finite.

Chissà cosa ha in serbo il destino per questo adolescente che sta imparando a conoscere anche la malvagità dell’essere umano.

Come gli ha insegnato Mezzabarba, riuscirà a “scoprire il proprio lago” ossia il suo posto nel mondo?

Recensione

“L’ inventore di storie” di Charles Lewinsky ci ricorda l’importanza della narrazione, un istinto che appartiene a tutte le culture, anche quelle che ignorano la scrittura.

Le storie vere ci rendono più adatte alla vita. Le favole ci aiutano a cogliere un livello più profondo che sfugge al quotidiano. Altre ci aiutano ad esorcizzare le nostre paure o semplicemente divertono.

Non è possibile ricondurre il romanzo a un genere definito. E il bello è proprio questo. Romanzo storico, di formazione, un’allegoria sulla natura umana, un inno alla magia della narrazione.

Lasciamo la parola ai lettori senza i quali, osserva il teorico della letteratura Wolfang Iser, non c’è testo. Saranno loro a interpretare quanto Lewinsky ha scritto o taciuto.

Per me questo romanzo possiede il rigore della storia, la poesia di una favola e la concretezza dell’umanità.

Commenti