“La ballata del carcere di Reading” (con lettura) – Oscar Wilde


Voto: 5 stelle / 5

Oscar Wilde, poeta e scrittore irlandese, conosce e tocca con mano il carcere nel 1895, quando venne condannato a due anni di lavori forzati per un’accusa di omosessualità.

In quella circostanza si trova ad assistere all’esecuzione di un uomo accusato di omicidio e nella ballata dal carcere di Reading racconta gli ultimi istanti della vita di quest´uomo, che aveva condiviso con lui la cella e molto probabilmente anche l’angoscia e la sofferenza. Di Oscar Wilde parliamo anche nella recensione alla sua biografia “Oscar” di Matthew Sturgis.


Commento a La ballata del carcere di Reading

Nel lungo poema, Wilde, profondamente toccato dalla sua condizione di carcerato, sembra staccarsi dal personaggio che si era costruito fino ad allora, divenendo molto più autentico. Con una limpida lucidità racconta il tema della pena di morte che si intreccia con il tormento dell’animo umano, forse peccatore per sua stessa natura e proprio per questo bisognoso di perdono: più grande è il peccato e maggiore è la necessità di perdono.

“Lui aveva ucciso una cosa viva, ma loro avevano ucciso un uomo morto”

scrive Wilde , come se il detenuto si fosse inflitto da solo la pena con il rimorso per il peccato commesso.

La ballata dal carcere di Reading , l’unica opera non giovanile di Oscar Wilde, si compone di numerose strofe, ma è la prima parte in cui viene descritto il destino del condannato a cui tutto il poema è dedicato,  ad essere la più profonda.

Testo

Egli non indossava il suo cappotto scarlatto

perché sangue e vino sono rossi

e sulle sue mani c’erano sangue e vino

quando lo trovarono con la morta,

la povera donna morta che lui aveva amato

e aveva ucciso nel suo letto.

Camminava tra i giurati

in un logoro abito grigio;

in testa aveva un cappello da cricket

ed il suo passo sembrava leggero e gaio,

ma io non avevo mai visto un uomo che guardasse

così nostalgicamente la luce del giorno.

Non avevo mai visto un uomo che guardasse

con occhi così nostalgici

a quella piccola tenda azzurra

che i carcerati chiamano cielo

e ad ogni nuvola vagante

che passasse bordata d’argento

Io camminavo, con altre anime in pena,

in un altro anello

e mi chiedevo se quell’uomo avesse fatto

qualcosa di molto grave o meno,

quando una voce dietro di me sussurrò:

«quel ragazzo, lo impiccheranno.»

Buon Gesù! le mura stesse della prigione

improvvisamente sembrarono oscillare

e il cielo sopra la mia testa divenne

come un casco di acciaio infuocato;

e, sebbene io fossi un’anima in pena

la mia pena non la potevo sentire.

Io solo sapevo quale pensiero tormentoso

gli faceva affrettare il passo, e perché

egli guardasse al giorno abbagliante

con occhi così nostalgici;

l’uomo che aveva ucciso la cosa che amava

e perciò doveva morire.

Eppure ogni uomo uccide la cosa che ama,

che tutti lo sappiano.

Alcuni lo fanno con uno sguardo amaro,

altri con una parola lusinghiera,

il codardo lo fa con un bacio,

l’uomo coraggioso con una spada!

Alcuni uccidono il loro amore quando sono giovani,

altri quando sono vecchi;

alcuni lo strangolano con le mani della lussuria,

altri con le mani dell’oro:

i più gentili usano un coltello, perché

i cadaveri diventano freddi presto.

Alcuni amano troppo poco, altri troppo a lungo,

alcuni vendono e altri comprano;

alcuni compiono il fatto con molte lacrime

ed altri senza nemmeno un sospiro:

perché ogni uomo uccide la cosa che ama,

ma non tutti per questo devono morire,

Non tutti devono morire di una morte vergognosa

in un giorno di nera disgrazia,

né hanno una corda intorno al collo

o un panno sulla faccia,

e i loro piedi non cadono sotto il pavimento

in  uno spazio vuoto.

Non sta seduto con uomini silenziosi

che lo osservano notte e giorno,

che lo guardano mentre tenta di piangere

e mentre tenta di pregare;

che lo fissano non fosse mai che dovesse

derubare la prigione della sua preda.

Non si svegliano all’alba per vedere

figure spaventose ammassarsi nella loro camera,

il Cappellano che fa rabbrividire nella sua veste bianca,

lo Sceriffo rigido nella sua tetraggine

e il Governatore tutto in nero scintillante,

con la faccia gialla del Destino.

Non si alzano con fretta pietosa

per indossare vestiti da carcerato,

mentre un qualche rozzo Dottore gongola

e annota

ogni nuova posa e ogni spasmo,

maneggiando un orologio il cui flebile ticchettio

suona come orribili colpi di martello.

Non sentono quella sete malata,

come sabbia nella gola, prima

che il boia con i suoi guanti da giardiniere

entri dalla porta imbottita,

e li leghi con tre stringhe di cuoio

cosicché la gola non possa più aver sete.

Non piegano la testa per sentire

la Preghiera dei defunti,

né, mentre il dolore che sentono nell’anima

dice loro che non sono morti,

incrociano la loro propria bara, mentre

entrano nel terribile annesso.

Non guardano fisso l’aria

attraverso un piccolo tetto di vetro:

non pregano con labbra di argilla

perché la loro agonia finisca

né sentono sulla guancia che rabbrividisce

il bacio di Caifa.

Video con commento e lettura de La ballata del carcere di Reading

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