“La bastarda di Istanbul” – Elif Shafak


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Istanbul è da sempre una città di confine, quel crocevia in cui cultura occidentale e cultura orientale si sono per molto tempo incontrate, scontrate e forse ora riconciliate. Una culla del passato romano, poi musulmano; una terra che difficilmente ha trovato pace e che ancora oggi lotta tra passato e presente, tradizione e innovazione e vive di contrasti che si annidano in ogni angolo di strada, in ogni edificio o vicolo che tuttavia ne esaltano la bellezza. È questa la città in cui si conoscono Armanoush e Asya, le protagoniste di “La bastarda di Istanbul” di Elif Shafak (Bur 2013).


bastarda di istanbul copertina

Trama di La bastarda di Istanbul

La prima è una ragazza americana di origini armene che sin dall’infanzia è divisa fra due mondi che mai le hanno risparmiato guerre e contrasti: quello americano della madre Rose e quello armeno della famiglia paterna. Rose ha quasi subito avuto un rigetto per tutto ciò che riguardasse la cultura armena, colpa delle continue critiche perpetrate a suo danno dalla suocera e che l’hanno fatta allontanare radicalmente dal marito e da ogni sua tradizione, tentando di fare altrettanto con la figlia, senza però riuscire nell’intento. Armanoush è infatti affascinata e legata alla famiglia paterna, tanto da spingersi ad effettuare lei stessa ricerche sulle sue origini, addentrandosi nell’oscura pagina della storia del genocidio armeno avvenuto tra il 1915 e il 1916.

“Non maledire ciò che viene dal cielo. Inclusa la pioggia. Non importa cosa ti precipiti addosso, non importa quanto violento il nubifragio o gelida la grandine: non rifiutare quello che il cielo ti manda.”

Dall’altra parte c’è invece Asya, ragazza turca che vive con madre, nonna, bisnonna e tre zie e alla ricerca del padre. Il suo è un mondo di contraddizioni; si veste in maniera occidentale in una casa dove una delle zie rispetta rigorosamente le tradizioni islamiche in materia di abbigliamento e non solo, frequenta artisti rivoluzionari più nelle idee che nelle azioni e vive in un mondo apparentemente dinamico, ma che nel concreto resta inesorabilmente statico e sterile di cambiamenti.

Il loro incontro le farà confrontare con realtà che mai avrebbero immaginato di scoprire, in un susseguirsi di eventi che porterà tutti a comprendere che non bisogna mai maledire ciò che viene dal cielo, perché tutto ha un fine, ogni cosa è oggetto di un disegno più grande che la mente umana non può comprendere, ma solo vivere appieno, fino a quando i fili del destino non condurranno allo scopo iniziale del progetto divino che attende ogni essere umano, chiarendo ogni dubbio e alleviando ogni dolore.

Recensione

In questo romanzo Elif Shafak costruisce sapientemente un mondo che sa di immaginario e reale al tempo stesso, popolato da jinn benevoli e malvagi, intriso di una triste pagina di storia che ha macchiato la Turchia e che l’autrice ha in questo modo riconosciuto, sebbene tale riconoscimento le sia valso un’accusa per “attacco all’identità turca”.

Lo stile è ricco e avvolgente. La prosa è sapientemente costruita e le parole creano un vortice che risucchia nel mondo da lei descritto, tanto da dare l’impressione di riuscire quasi ad udire il suono dei gabbiani che volteggiano sopra i cieli di Istanbul e di sentire nell’aria quell’odore di salsedine e spezie che ricopre come un manto questa città che si affaccia sul Bosforo e segna il confine tra Europa e Asia.

Maria Reale.

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