“La Caduta” – Albert Camus


Voto: 5 stelle / 5

Sono pochissimi gli scrittori che hanno saputo penetrare a fondo l’essenza stessa dell’umanità. Scavare con zelo nel complicatissimo universo della sensibilità che da sempre accomuna ogni uomo sulla Terra. Tra di essi, in un elenco fatto di marmoree leggende, spicca senza dubbio Albert Camus, pied-noir francese, premio Nobel per la letteratura e creatore di una serie di piccoli grandi capolavori dell’espettorazione umana.
Nel 1956, pochi anni prima del terribile incidente stradale che lo strappò dalle grinfie della vita, Camus diede alle stampe “La Caduta”, opera breve, apparentemente semplice, ma in realtà pregna di sorprendenti verità.

Quella che seguirà non è, e d’altronde non potrebbe essere, una mera recensione, bensì un’analisi. Oppure, si spera, un invito alla lettura, senza la quale molte delle seguenti parole saranno destinate per sempre a rimanere tali.

Trama de La caduta

La voce narrante ne “La caduta” è quella di Jean-Baptiste Clamence, un brillante avvocato parigino, che però non fa più l’avvocato e non vive più a Parigi. Il suo racconto, infatti, giunge da Amsterdam e, tramite un dialogo-monologo con un uomo sconosciuto, ripercorrerà tutta la sua storia personale, che da una carriera fruttuosa svolta tra l’apprezzamento comune, declinerà fino ad una sorta di esilio volontario nelle terre olandesi.
Egli, ben voluto e piazzato economicamente, si accorge che in realtà, dietro ad ogni gesto positivo compiuto verso gli altri, si nasconde un bisogno intrinseco e inappagabile. Quello dettato dal proprio egocentrismo. Jean-Baptiste vuole essere amato per dimostrare la propria superiorità, vuole che tutti vedano in lui la virtù, la bontà e l’intelligenza.

La sua, dunque, è una maschera, un cumulo di rozza e ben celata ipocrisia, che a lungo andare ne strazia la coscienza fino a svilire il significato stesso dalla vita. Quando l’ex avvocato racconta tutto questo, però, non è pentito, né redento. La sua condizione è immutabile, perché fondata sul principio stesso dell’anima umana. Clamence è un falso profeta, che grida nel deserto e rifiuta di uscirne.
Nasce così il concetto di giudice-penitente, giudice di sé stesso e penitente dei peccati per cui è stato giudicato. Attorno al protagonista e al suo interlocutore, di fatto gli unici personaggi, si muoverà con grande cautela un’ambientazione solitaria e silenziosa, utile solo per fare da sfondo alle parole continue di Clamence.

Recensione

“La Caduta”, più che ad un romanzo, somiglia ad una sorta d’indagine umana, che s’interroga sul senso dell’esistenza e sul significato della vita sociale. Il flusso di coscienza di Clamence sviscera dubbi che in molti, nella maggior parte dei casi, nemmeno prendono in considerazione. Ogni pagina sarà fonte di piccole sorprese, di improvvisi stop, seguiti in fretta da una riflessione torbida che fino a quel momento non avevamo mai per nulla immaginato. L’interlocutore del protagonista, poi, non ha voce, né una vera e propria identità. L’impressione, dunque, è che quel personaggio misterioso sia in realtà il lettore, elemento che favorisce ancor di più l’immedesimazione in un mondo dove nulla sembra essere scontato. Lo stile, rapido e colloquiale, agevola la lettura senza distrazioni, permettendo anche una serie di piccoli passi indietro.

La Caduta è un’opera che va molto al di là della parola romanzo. Le sue pagine sono un ricettacolo di tenera e rassicurante umanità, celata dietro al velo sottile ed apparente dell’amarezza. Racconta, in filigrana, la vita di tutti. Spiega con arguzia le scelte più strane, i compromessi più indicibili. Camus parla di noi, e non come un’entità divina che se ne sta arroccata nel suo Empireo, bensì come un uomo che siede in mezzo ad ogni cenno, ad ogni saluto e ad ogni sorriso. La Caduta, in buona sostanza, è come una Bibbia. Il libro sacro di una religione dove forse la fede non serve.

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