“La mammina” – Roberta Zimei


Voto: 4,5 stelle / 5

“La mammina” (Tabula Fati 2021) è il primo romanzo della giornalista aquilana Roberta Zimei. Tratta un tema doloroso e scottante: la violenza domestica.

Ho scelto questo libro perché presentato nella rassegna “Libri in città” della libreria Primo Moroni e previsto per il 26 maggio nella rassegna “Donne da leggere” della biblioteca Di Giampaolo, entrambe di Pescara.

Trama de La mammina

“La mammina” è il modo in cui veniva chiamata, in passato, la levatrice nei paesini dell’entroterra abruzzese. Era una figura che andava oltre la semplice assistenza al parto: seguiva la neo-mamma e dispensava consigli, fino anche a venire considerata un po’ la sostituta del dottore.

Il romanzo di Roberta Zimei è ambientato nel primo dopoguerra e si conclude nel 1958. È incentrato su Clera, anzi Anticlera Massari. Si tratta di una ragazza madre dell’Emilia Romagna che in un paesino degli Appennini riesce a costruire per sé e suo figlio una vita economicamente indipendente e a farsi benvolere dagli abitanti facendo la levatrice, appunto. Ma ha la sfortuna di legarsi a un uomo violento.

“Sopporta, magari da vecchio si calma”

Recensione

Se leggendo il titolo abbiamo pensato a una storia sdolcinata, arriva il primo capitolo a toglierci ogni dubbio. La prima scena è infatti truculenta e misteriosa e capiamo che da quel diminutivo, mammina, forse ci eravamo lasciati mettere fuori strada. Se poi abbiamo avuto cura di non informarci affatto sulla storia, come ho volutamente fatto io, tutto ci coglierà alla sprovvista. E sarà di impatto.

“Ma le chiacchiere sono come la miseria, crescono piuttosto che sparire”.

Ci sono molti spostamenti temporali, per introdurci alle storie famigliari e alle dinamiche che ci sono dietro alcuni dei personaggi, e questo può disorientare leggermente. La scrittura di Roberta Zimei, giornalista dall’esperienza ventennale, è però pulita e gentile. Una delle sue peculiarità più apprezzabili in questo libro è che riesce molto bene a osservare e restituire il cinismo disarmante del pensiero collettivo.

“L’uomo lotta per affermare il potere di vita e di morte. La donna non si arrende nel voler affermare la forza della vita”

La narrazione procede snella e il romanzo assomiglia sempre di più a un racconto davanti a un caffè. I fatti incalzano sempre più rapidi fino a una scansione temporale sempre più precisa e senza scampo, quasi da articolo di cronaca.

“Io non sono infelice! Il Barone non può essere infelice! Scommetto che queste idee stupide te le hanno messe in testa a Roma, ché tra queste montagne nessuno ci pensa, all’infelicità!”

Infine entra in gioco una luce di speranza, perché una comunità può diventare anche questo: un corpo che si fa scudo contro l’ingiustizia. È molto bello e disarmante uno dei capitoli finali, in cui viene spiegato come la collettività sia riuscita a collocare anche questo fatto “nella dimensione consolatoria delle cose che succedono”.

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