“L’età del malessere” – Dacia Maraini


Voto: 5 stelle / 5

Secondo romanzo di Dacia Maraini, edito nel 1963 da Einaudi, “L’età del malessere” racconta di Enrica.

Trama de L’età del malessere

Enrica è l’adolescente della periferia romana protagonista di una carrellata di sequenze narrative desolate e desolanti, attraverso le quali muove i suoi primi passi di donna senza mai raggiungere consapevolezza di sé.

Enrica è centro e motore della narrazione. Per mezzo della sua voce e dei suoi occhi lega, col suo passaggio, tutte le scene nel quale il lettore è catapultato, presentando la sua vita così come la percepisce lei: vuota e amara. Una rassegnazione di fondo affolla le pagine e sembra togliere senso a qualsiasi tentativo di rivalsa.

In bilico tra mediocrità e baratro

Enrica vive i suoi 17 anni negli anni ’50, il periodo post-bellico che illude il Bel Paese di poter rinascere insegnando, nel mentre, come lasciar perdere ogni speranza.
Siamo catapultati nella sconsolata adolescenza della ragazza, completamente assorbita dalla relazione fisica con Cesare, studente eternamente fuoricorso che ha già una fidanzata. La sua voce disincantata presenta poi, nello svolgersi della storia, una madre assente, evanescente e, si capirà troppo tardi, malata.

Un padre infelice, a proprio agio solo mentre costruisce gabbie invendibili. Carlo, compagno di classe che si innamorerà di lei e invano cercherà di conquistarla. Ancora, la contessa Bardengo, aristocratica ormai chiusa in sé stessa, felice esclusivamente in funzione di un amore impossibile con un ragazzo molto più giovane.

Recensione

I personaggi non sono molti e sembrano quasi soggetto unico della storia. Hanno tutti una caratteristica in comune con la protagonista: sono infelici e ne sono pienamente consapevoli. Pure, non fanno nulla per cambiare le cose.
Tema fondamentale del libro è la desolazione che accompagna queste vite perse in una quotidianità grigia e che puzza di muffa, che non si regge in piedi e che pure non crolla a terra. Così, in eterno bilico tra mediocrità e baratro, si consumano le pagine, senza che nessun personaggio, tantomeno Enrica, riesca a dare un tono di colore alla sua vita.
Un testo asciutto che taglia via ogni discrezione, sequenza, dialogo superflui.

Merito del romanzo è riuscire, nella sua struttura solo apparentemente grezza e ferma alla superficie, a dare un pugno allo stomaco al lettore, colpendolo con tutto il peso di un senso di disagio rassegnato.
Enrica è insieme protagonista e antagonista della sua storia: conscia del disprezzo per la realtà che la circonda, sembra non riuscire a muoversi per uscirne. Ogni passo si rivela inconsapevole e sbagliato, come se ormai anche lei fosse chiusa nello stesso circolo vizioso di errori che ha condannato i suoi genitori e che adesso, inevitabilmente, intrappola anche lei.

Vorrei poter dire che c’è una svolta per qualcuno, ma mi è impossibile: sono tutti personaggi statici. Anche Enrica non riesce a evolversi, mettersi a fuoco, crescere. Il romanzo, comunque, si chiude col suo maturato proposito di farlo una volta per tutte. Lascia quindi le porte aperte ad un viaggio da iniziare, ma nelle 216 pagine precedenti quello che manca è proprio un’evoluzione matura della protagonista, così come degli altri personaggi: il padre resta concentrato sulle sue gabbie impossibili, la contessa nel suo amore impossibile, Cesare nelle sue ambizioni svogliate e, nemmeno a dirlo, impossibili.

Paesaggio interiore monocromatico

Mancano approfondite descrizioni fisiche, sociali e psicologiche dei personaggi. Ne “L’età del malessere” la Maraini volutamente presenta ombre, figure di passaggio che nell’atto di scontrarsi e incontrarsi con Enrica svaniscono, lasciandole intorno un vuoto sempre più difficilmente arginabile. Il tutto è immerso in una provincia desolata e mai definita, spazio teoricamente aperto e invece presentato nella storia come chiuso, soffocante, non funzionale.

Grigia è la casa in cui vive la famiglia di Enrica, grigie le strade che calpesta, le aule che frequenta, le facce dei volti che incrocia, gli edifici che guarda, i vestiti logori e rattoppati che indossa.

Unico punto di luce sembra essere il sorriso di Cesare, le sue lenzuola, la sua stanza, ma anche questo piccolo spazio di mondo risulterà sempre più sbiadito e grigiastro con lo scorrere delle pagine.

Monocromatica è anche la visione della voce narrante, Enrica, che è unico punto di vista e sembra neanche molto vivido della storia. Con indifferenza e quasi fastidio analizza ciò che le sta attorno: la vita piatta della madre dai pensieri e dalle abitudini mediocri, l’esistenza bistrattata del padre, la morte della madre, l’episodio di prostituzione quasi inconsapevole e, infine, il caso di aborto di cui è protagonista.
Enrica si nasconde alla vita e anche al lettore, con indifferenza inconsapevole racconta ciò che vede senza indugiare su ciò che sente. È vittima e artefice del proprio malessere, indotto dalla situazione nella quale vive e da ciò che svogliatamente si illude di cambiare.

Dacia Maraini regala al lettore un’opera silenziosamente dolorosa, le sue fotografie di parole sono colpi sordi che fanno male, ma di un dolore sopportabile. Il nostro stomaco arriva alla fine delle pagine, mentre i nostri occhi consumano la lettura, stremato e sollevato.
L’età del malessere non è solo l’adolescenza di Enrica; sono gli stessi anni ‘50 logori che si appiccicano addosso ai personaggi e li sbiadiscono. È la mediocrità che ingrigisce i volti, tarpa le ali e come un tarlo consuma le vite di tutti gli occhi che fissano l’obiettivo della Maraini.

Silvia Rodinò

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