“Lonesome Dove” – Larry McMurtry


Voto: 3 stelle / 5

Stati Uniti. Frontiera. Terre immense che sputano polvere e grondano sangue. Indiani, serpenti, cavallette, banditi, temporali. La morte è come un cavallo impazzito che galoppa in eterno. Sembra epica, ma è solo Western. Sembra l’inferno, ma è solo il deserto. Sembra uno strano miscuglio tra Tolkien e John Ford, e invece è “soltanto” Larry McMurtry, scomparso a marzo di quest’anno. Stringete il cinturone, signori. Stiamo andando a “Lonesome Dove” (Einaudi 2017).

Trama di Lonesome Dove

Augustus McCrae e Woodrow Call sono due Texas Rangers ormai in pensione. La loro carriera non è altro che una lista infinita di uomini catturati e giustiziati. Banditi o indiani non fa differenza. Quello che conta è fare giustizia, in un mondo dove chi non riesce a procurarsela, non la otterrà mai. A Lonesome Dove, però, la vita è ormai sedentaria. A scandire le giornate restano solo lavoretti manuali e frecciatine ironiche.

Questo equilibrio fatto di noia e polvere potrebbe durare all’infinito, e invece dura sino all’arrivo di Jack Spoon, un ex compagno di Augustus e Call, pronto a trascinare i due Rangers verso un’ultima gloriosa impresa. Partire, verso nord. Colonizzare terre nuove, libere, su nel Montana.

Ad accompagnarli, troveremo una pletora di personaggi singolari. Ragazzini inesperti, baristi acidi e cuochi eccentrici. Toccherà a quest’insolita mandria il compito di attraversare un inferno fatto di fuorilegge ed indiani. O meglio, un purgatorio, lastricato di sangue che scorre lento fino al paradiso.

Recensione

Lonesome Dove si divide nettamente in due parti. L’inizio è perfetto. La cittadina che dà il nome al romanzo viene presentata in maniera impeccabile, attraverso l’uso di immagini e metafore sempre coerenti con l’immaginario Western. Anche la vita stantia dei protagonisti sembra incastonata nella roccia, ferma e immobile, destinata soltanto a replicarsi all’infinito.

Nonostante l’apparente piattezza, questa fase iniziale coinvolge in modo sorprendente. I personaggi, calati appieno nel loro mondo, non necessitano di alcuna presentazione, donando al lettore l’impressione di osservare non tanto la pagina di un romanzo, bensì una finestra ben aperta, spalancata verso un mondo presente da sempre.

Dall’arrivo di Jake Spoon in poi, gli eventi prendono il via. Qui comincia un’altra opera, distante anni luce dai toni ironici e rassegnati dell’incipit. Affiora, tra le pagine, una vena improvvisamente epica, quasi tolkeniana, che in maniera sconcertante ed improvvisa avvicina il lavoro di McMurtry alle grandi epopee fantasy del passato.

La trama porrà la squadra di Augustus e Call davanti a minacce sempre più mastodontiche, avviluppandosi in una spirale che scorteccia via ogni traccia di realismo. E’ il caso, per esempio, di alcune scelte esageratamente drammatiche, che talvolta stonano al punto da divenire imbarazzanti.

E’ in questo aspetto che emerge il lato tipicamente cinematografico dello scrittore. Lonesome Dove è infatti un’opera in cui il ritmo viene gestito in maniera furba e ammiccante. Dove ogni regola di suspence e calibrazione della tensione viene rispettata a dovere.

Eppure, paradossalmente, sono proprio queste accortezze a falsare l’anima della storia, che invece di essere selvaggia e viscerale, finisce per diventare prevedibile e a tratti persino banale. Il più grande difetto del romanzo di McMurtry è dunque questo. Il voler essere spettacolare a tutti i costi. Il voler sempre e comunque creare azione anche laddove non ne servirebbe alcuna. Agli amanti del Western più classico e riflessivo, resta solo una prima parte semplicemente perfetta.
Quello che arriva dopo, nonostante i revolver, i cavalli e gli indiani, al Western somiglia davvero poco.

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