“L’ultima amante di Hachiko” – Banana Yoshimoto


Voto: / 5

Nel 1999 Feltrinelli pubblicava “L’ultima amante di Hachiko”, a circa dieci anni dal successo di “Kitchen”. Tradotto da Alessandro Giovanni Gerevini, che qui è anche un cameo, il libro è un romanzo di formazione e parla di addii e accettazione.


copertina banana yoshimotoTrama di L’ultima amante di Hachiko

In “L’ultima amante di Hachiko” la giovanissima protagonista Mao sa bene, grazie a una profezia, che il ragazzo di cui è innamorata la lascerà. Si chiama Hachi (il suffisso -ko esprime famigliarità, è una sorta di vezzeggiativo) e ha deciso di isolarsi in ritiro spirituale. Quando si innamorano, Mao capisce che il fatto che questo amore sia a tempo determinato lo rende, in fondo, perfetto. Ma non basta ad arginare la malinconia…

Recensione

Chi si approccia a Banana Yoshimoto deve mettere in conto che lo stile potrebbe non piacere. La narrazione è semplice e rapida come delle pennellate calligrafiche e non è detto che includa una introspezione soddisfacente nei personaggi. Non è detto che le sue storie “prendano”. Le trovo sempre interessanti perché sono permeate di quello spirito di rassegnazione e accettazione che caratterizzano la filosofia orientale e affascina gli occidentali. Anzi, da questo punto di vista il romanzo è anche fuori le righe, perché la sua protagonista non accetta per niente la sua situazione famigliare di partenza. La nonna e la madre gestiscono una comunità dell’amore e Mao lascia la comunità: da questo punto di vista è una sovversiva. Siccome, però, lascia una casa dell’amore per andare a fare l’amore in un’altra casa, potremmo dire, giocando, che buon sangue non mente.

A ogni modo, non c’è alcun tipo di malizia nel modo in cui vengono vissuti e proposti i rapporti relazionali. Le persone si avvicinano e si allontanano come foglie trascinate per caso dalla stessa folata di vento. Anche quando si innamorano sono innamorate e basta, non vanno a fondo, e se si devono lasciare riescono a trovare una soluzione alla nostalgia: proprio qui risiede il messaggio positivo e prezioso di questo piccolo libro.

I personaggi di Banana Yoshimoto sembrano trovarsi nelle situazioni senza porsi troppe domande. Questo aspetto può essere tanto snervante quanto salvifico. Ho sempre ritenuto molto affascinante questo approccio tutto giapponese e sono grata alla lettura condivisa di Marlahbooks per aver proposto Banana Yoshimoto per #leggendoilgiapponegdl del mese di febbraio. È un’autrice che ho riletto volentieri, a diversi anni (forse venti?) dall’ultima volta.

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