“L’uomo, anelito all’infinito” – Daniele Cogoni ed Elena Olivari


Voto: 5 stelle / 5

Gli autori di “L’uomo, anelito all’infinito” (ed. Cittadella 2020) sono don Daniele Cogoni e Elena Olivari. Il testo è scritto a quattro mani (una tecnica non facile), dove competenze diverse e ben bilanciate si fondono verso un unico obiettivo.

Il fenomeno religioso si legge attraverso il suo strutturarsi storico concreto, il suo prendere spessore nel tempo (nel suo divenire), il suo determinare e determinarsi nel contesto con altri fenomeni umani quali l’organizzazione della società, il formarsi della mentalità, l’imporsi e il costruirsi di ambienti sociali diversi.

Trama de L’uomo, anelito all’infinito

“L’uomo, anelito all’infinito” appare come una via verso il sacro, corredato da una speciale segnaletica, offerta in maniera pertinente e fruibile dall’archeologia religiosa, di cui il testo si compone. È diviso in due corpose parti (due capitoli: dedicati uno all’ archeologia preistorica e l’altro all’archeologia storica) e una bella appendice fotografica.
La lettura diventa una proposta per un percorso reale (non virtuale!), in quanto, attraverso l’incontro di “porzioni” di vita vissuta (che l’archeologia con dovizia di particolari ci racconta) e “siti” concreti, si può nutrire la mente e sostare con gusto.
In Italia le scienze religiose sono spesso slegate alle grandi tradizioni culturali non confessionali, che contraddistinguono invece gli studi teologici tedeschi, antropologico-sociali inglesi e storico-mitologici francesi; questo lavoro viceversa presenta un carattere di novità a riguardo, infatti, sottolineando l’approccio fenomenologico, fa emergere ciò che distingue la religione da altre dimensioni e ci permette di identificare i caratteri irriducibili del fatto religioso. L’innesto tra discipline diverse, considerate in sinergia tra di loro, consente e mostra una religiosità mai avulsa dal contesto, ma dentro le forme storiche che di volta in volta i credenti si danno e radicata nei cambiamenti delle forme di culto.

Profonde e diverse tradizioni culturali si celano dietro alle istituzioni religiose. Trapela, pertanto, di fronte all’urgenza del bisogno di ricomposizione, l’utilità di comparare metodi diversi, per superare una diffusa dicotomia della società odierna, che scinde il sacro dal profano nel tentativo di affermare una presunta secolarità, la quale appare sempre più artificiosa (e soprattutto inesistente) nelle culture antiche.

Recensione

Ne “L’uomo, anelito all’infinito” si congiunge una duplice prospettiva: quella dell’archeologia e della storia dove si individuano le numerose tracce dell’Infinito.
L’antropologia culturale parla di vari umanesimi: homo sapiens, homo ludens, homo faber, ecc.., ma non si può ignorare l’homo religiosus di cui il testo che andiamo a recensire dà prova. Appena l’uomo arrivò sulla terra chiese dell’aldilà! Come si afferma nel testo: l’uomo sin dai primordi anela all’Infinito!
A partire dal XIX secolo sono iniziati studi sulla cultura, la mentalità e la religiosità dei popoli primitivi. Alla luce di queste scoperte si evince come il sacro fosse una dimensione fondamentale della vita dei popoli antichi. Tra la metà degli anni ottanta e inizi anni novanta, nasce un rinnovato interesse per l’archeologia della religione dove storia e archeologia si collegano.

L’archeologia religiosa si mostra come un ponte che, nella complessità della cultura odierna sempre più secolarizzata, riesce a creare connessioni e a rimuovere quelle sacche crescenti di resistenza contro la natura spirituale dell’uomo.

L’archeologia religiosa ci può dunque aiutare a fornire suggestioni e spunti per la ricerca di prospettive non riduzioniste, volte ad una narrazione dell’umano più vera e viva nel suo costante divenire, capace inoltre di opporsi al soluzionismo tecnologico che si inginocchia costantemente davanti al pensiero dominante…

Non conoscendo la scrittura, i popoli antichi ci hanno lasciato moltissime tracce che oggi noi possiamo interpretare grazie proprio alla conoscenza che ci offre l’archeologia religiosa. Questa testimonianza viene da lontano, soprattutto attraverso le tombe e i riti di sepoltura. Da questi ultimi emerge la credenza in una realtà trascendente, capace di superare la realtà effettuale e quotidiana, nella quale si palesa una sincera coscienza delle manifestazioni dell’Infinito così puntuali e vicine alla realtà di ciascun individuo.

L’archeologia religiosa

“L’uomo, anelito all’infinito” ci invita ad ascoltare ciò che la religione vuol dirci, scoprendo che essa è capace di affermarsi adeguatamente attraverso vestigia antiche, non nella veste idealizzata dei concetti, ma nelle varie sembianze storiche che l’hanno determinata. Si scopre allora il volto puro dei suoi credenti, il volto libero dai condizionamenti ideologici. Il testo, attraverso l’archeologia religiosa, prende in esame innanzitutto il periodo della cultura arcaica, mostrando come a questo livello la religione si presenta in modo semplice, nel suo aspetto più spontaneo e naturale, che nel divenire storico diventa pian piano più elaborato e complesso.
La religione è stata per le culture primitive come un universo simbolico, ha svolto la funzione mitologica di risposta ai grandi interrogativi dell’uomo, il mezzo concreto con il quale le cose hanno acquistato per la prima volta un senso globale.

Successivamente ha consentito l’elaborazione dei vissuti, innanzitutto l’elaborazione del dolore e della morte. Risulta inoltre che la religione è un fatto esclusivamente umano, poiché solo l’uomo pone le questioni riguardanti il senso delle cose; e, inversamente, non si dà uomo senza religione. La religione è quindi non solo un fatto umano, ma pure universale.
La particolarità dei soggetti (graffiti, steli, lapidi o reperti archeologici), di cui il volume si avvale, ci racconta la fenomenologia dei luoghi e dei tempi di un’umanità sempre accompagnata e sostenuta da un anelito che la pone in avanti, in uno slancio verso l’Oltre, mentre, attraverso un lento e faticoso cammino, lascia orme indelebili.

Conclusioni

Il testo si conclude appurando come la dimensione religiosa e la tendenza umana verso l’Alto e verso l’Altro da sé, costituisca una dimensione essenziale dell’uomo, rintracciabile dalla preistoria e visibile in tutte le tappe della storia umana.

Questa dimensione assume, però, la sua completezza nella religione cristiana, dove riveste pienamente un carattere relazionale e salvifico e diviene “sacro sostanziale”. Lo afferma Congar nel suo testo “La storia comparata delle religioni e l’ermeneutica”.
L’uomo ha lasciato tracce di sé da sempre, mostrando così il suo bisogno di comunicare; queste impronte sono spesso dei grandi solchi resistenti alle intemperie. Segnate dal forte carattere dello spirito (in contrapposizione al carattere della bestia), si distinguono dal resto della creazione e si avvicinano al Creatore che le rende pienamente umane.

Simonetta Mosciatti

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