“Metropolis”: intervista a… Fritz Lang

In seguito a gentil richiesta, ho fatto ricorso a tutte le mie forze e, conoscenze. Moltissime, le prime.

L’operazione non era certo delle più semplici; purtuttavia – sono anni che desidero scrivere ‘purtuttavia’ – mobilitando le conoscenze di cui sopra e, le forze, sono riuscito a contattare il Maestro Fritz Lang e a intervistarlo (la mancanza di eufonia è un omaggio sentito e doveroso a chi sapete).

Per essere un morto devo riconoscere che si è rivelato piuttosto vivace, Lang. Più di me senz’altro, che, ahimè, non sono ancora riuscito a fuggire la vita e, dunque elevarmi in termini di esuberanza creativa. Per adesso almeno. Solo questione di tempo.

Sì, lo so, questa è una recensione di un film e non di un romanzo, ma, ritengo che essendo riuscito in un’impresa titanica – mi riferisco all’intervista telefonica e comprovabile da registrazione audio – , che, pochi sarebbero riusciti a concludere – lo dico con vera immodestia – possa senza vostri tentennamenti essere inserita tra le recensioni su testi scritti che nessuno legge. E’ di dominio pubblico la ritrosia del Maestro Lang ad incontrare gente e tanto più a rilasciare interviste; oltretutto la sua “condizione” qualche problemuccio l’ha creato, lo confesso. Con pazienza ebraica, io, ci sono riuscito: una volta alzato il telefono, ho approfittato per spolverare il ripiano del mobiletto su cui è poggiato, poi, dopo averlo riabbassato, per alzare la cornetta con comodità, ho digitato il numero; ho quindi acceso il videoregistratore e ho uscito il mio taccuino – come dite “voi” meridionali* – ed infine, principiato questo viaggio. Ecco, è una chicchera senza pretese, non come quelle altre che si vedono in giro, un po’ dappertutto. Una chicchera che vi regalo. A voi farne l’uso improprio che vorrete.

“ Buongiorno Maestro, sono l’aspirante critico cinematografico d’avanguardia. So che è stato messo al corrente di questa mia telefonata, dal Generale, il cognato dell’amante del Senatore del Senato della Repubblica italiana. E’ stato così gentile. Sappia che per me è un onore sconfinato poterle parlare.”

“ Sì, sono al corrente, mi dica…”

“Sì, Maestro. Sarò brevissimo; il tempo di un Governo. Ecco, Maestro, per anni mi sono chiesto perché un finale così gratuit…ehmn, reazionario come conclusione del suo capolavoro “Metropolis”?”

“ Eh sì, ha ragione. Eh ma sa, qualche compromesso, necessario. Saprà che ho dichiarato in passato il mio pentimento al riguardo…”

“ Sì, ho letto, Signor Lang. Il fatto è che non posso comprendere fino in fondo come, insomma, un capolavoro del genere, così visionario, possa – per sua scelta, Fritz – concludersi in quel modo.”

“ Sono Lang, non Fritz.”

“ Sì, certo Maestro, Lang.”

“E’ stato un autentico peccato, non ho saputo tenere botta. Ero giovane. Ma, è andata così, ormai…”

“ Già, ormai. Peccato.”

“ Già.”

“ Certo che, voglio dire…E’ proprio andata male eh.”

“ Sono passati tanti anni, ormai; non posso rimediare.”

“Sì, non può. Spero non possa nemmeno dimenticare, al di là del “rimediare”. Per fortuna ebbe il tempo di fare autocritica, eh?!”

“ A volte ci penso, con un certo rimpianto.”

“ Eh già, comprendo. Ormai è andata…”

“ Eh, è andata. Pazienza. Non c’è altro da aggiungere. La saluto.”

“ Signor Frits?”

“Lang!”

“Signor Lang?”

“ Sì? C’è dell’altro?”

“ No, volevo solamente dirle che è stato proprio un peccato, ma, beh, ormai…”

“E’ andata così…”

“ Sì, non c’è rimedio. Solo rimpianto.”

“ Bene, la saluto.”

“ Sì Signor Lang. Ah, un’ultima cosa, Signor Lang. Potrei richiamarla in futuro?”

“ Non si prenda questo disturbo.”

“ Grazie Signor Lang, farò come dice. Ciao Fritz!”

*che d’io non voglia una malintesa interpretazione al mio riferimento sulla condizione, rispettabilissima, di meridionale; non ho pregiudizio alcuno verso le persone di colore. Ne è prova il branco di amici sudisti, che si onorano della confidenza che concedo loro: sensibilissimi; pure quelli insulari. L’importante è che lascino stare i bambini.

Gino Pelliccia

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