Analisi di un mini-racconto di Augusto Monterroso

Oggi mi sento bene, un Balzac; sto terminando questa seconda riga.

Questa micro-narrazione è di Augusto Monterroso. Ha per titolo Fecondità e si può leggere a
pagina 14 dell’antologia I racconti più brevi del mondo, pubblicata dall’editore Fahrenheit 451 nel
2005.


Una mini-parodia

Si presenta come la parodia del genere di racconto forse più abusato in letteratura: quello il cui
protagonista è uno scrittore che parla in prima persona di se stesso e della propria attività.
L’intento caricaturale traspare già dal titolo. Come fa l’io narrante a essere prolifico, quando il
racconto, collocato nel tempo presente, si compone di una sola riga? Oltretutto, sostenendo di stare
bene il presunto autore lascia immaginare di avere attraversato o di attraversare tuttora una crisi
creativa della quale peraltro non viene precisata l’entità e tanto meno la durata.

L’allusione al classico assunto quale modello di riferimento è curiosamente generica. Non dice mi
sento Balzac, ma mi sento un Balzac. Come se ce ne fosse più d’uno. Magari vuol dire che si sente
come uno che scrive tipo Balzac. Ma non approfondiremo la questione, perché ci obbligherebbe
forse ad analizzare l’intera opera del classico francese per poterne individuare gli eventuali punti di
contatto con l’io narrante.

 

Prolificità apparente

Ed ecco la stoccata: sto terminando questa seconda riga.
Ma allora non è produttivo come vuol far credere (soprattutto a se stesso), dato che ha terminato
soltanto la riga che stiamo leggendo. Che poi l’ha scritta oggi. Ma ieri? Cosa ha fatto ieri? Potrebbe
avere scritto la prima riga. Perché la seconda presuppone la presenza della prima, da cui sarebbe
partita – o forse no – la burla di Fecondità. Nel lettore si fa allora strada la curiosità, o meglio il
desiderio di leggerla. Come sarà scritta? Di cosa parlerà? Quanto sarà lunga? In che maniera
giustifica la prosecuzione?

È evidente che non lo sapremo mai, perché questa prima riga non c’è. Monterroso vi allude
soltanto. Può anche essere che non esista. Il dubbio in questo caso è più che legittimo.
Ma la letteratura è così. Si affida spesso alle cose non dette o sottaciute, volutamente lasciate dietro
le quinte. Come la morte di Euridice, alla quale né Orfeo né i lettori assistono “in diretta”.
Il fascino della scrittura sta, insomma, nelle domande che non ricevono risposta.
Perché mettono in moto l’immaginazione.

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