“Monsieur Pain” – Roberto Bolaño


Voto: 3 stelle / 5

“Monsieur Pain” (Sellerio, 1999) è il primo romanzo, tra quelli pubblicati, che Bolaño scrive da solo. E proprio come in ogni lavoro dello scrittore cileno, la storia è più complessa di quel che sembra. “Monsieur Pain”, infatti, è la riedizione di un’opera chiamata “La pista degli elefanti”, concepita da Bolaño per uno dei tanti concorsi a cui partecipava. L’interesse letterario, in quei giorni non ancora illuminati dalla fama, contava molto meno rispetto al denaro sonante dei premi, che costituivano all’epoca il modo più frequente con cui mettere assieme pranzo e cena.

Scritto tra il 1981 e l’82, e pubblicato due anni dopo, il romanzo passò del tutto inosservato, venendo riscoperto soltanto dopo l’esplosione di quel capolavoro chiamato I Detective Selvaggi“. Il titolo originale, “La pista degli elefanti”, sopravvivrà nella nuova incarnazione sottoforma di epilogo. Il resto dell’opera, invece, prenderà definitivamente il nome del suo protagonista. Pierre Pain, meglio conosciuto come Monsieur Pain. Dello stesso autore abbiamo recensito anche “Consigli di un discepolo di Jim Morrison a un fanatico di James Joyce“.

Trama di Monsieur Pain

Parigi, 1938.
In un letto d’ospedale giace agonizzante il poeta Cesar Vallejo. Il corpo non mostra ferite evidenti. Le continue analisi dei medici non riscontrano nulla di anormale. Eppure, Cesar Vallejo sta morendo e niente sembra in grado di arrestare il suo cammino verso la fine.
La moglie del poeta, stanca di ricevere scrollate di spalle, chiede aiuto ad un’amica, Madame Reynaud. La donna, a sua volta, si rivolge ad uno strano mesmerista, Monsieur Pain, l’uomo che ha tentato, purtroppo invano, di salvare la vita a suo marito poco tempo prima.

Venuto a conoscenza della situazione, Pain si mette in azione, ma ben presto cominciano a manifestarsi inquietanti episodi attorno a lui. Più di una volta, per esempio, il mesmerista tenta di visitare Vallejo nella sua stanza d’ospedale, ma quest’ultima, proprio come il castello di Kafka, sembra inaccessibile per motivi sempre diversi.
Pierre Pain, uomo tranquillo e morigerato, si troverà dunque a gestire una situazione che ad ogni pagina sembra divenire più intricata di prima.

Recensione

Il più grande pregio di “Monsieur Pain” è lo spunto iniziale.
La strana malattia di Vallejo, l’ambientazione parigina così distante dal futuro canone bolañiano e l’aura di mistero che circonda i personaggi implicati nella vicenda, riescono a intrigare per tutta la durata della prima fase. Purtroppo, questi elementi declinano presto in un vortice di alienante ed annacquata confusione.

Pierre Pain è un protagonista ambiguo, sfuggente, sospeso a metà tra l’arcaismo raffinato della belle epoque e le modernità improvvise del nuovo secolo. Gli eventi, ispirati al già sopracitato Kafka, sembrano avvolgerlo senza mai palesarsi davvero. Eppure, piuttosto che restituire l’effetto straniante tipico dei racconti kafkiani, questo meccanismo provoca noia, spesso accompagnata da una sensazione di sconsolata indifferenza. Gli stessi personaggi, sbiaditi ed abbozzati, non lasciano il segno, limitandosi a perpetuare quell’aura di mistero che dopo un po’, semplicemente, vola via.
Diverso è il discorso per la sempre bellissima Parigi, qui raccontata in maniera ipnotica ed efficace. Fanno capolino anche un paio di sezioni particolarmente riuscite, come il dialogo ambientato in un cinema, che fonde gli scambi di battute dei due interlocutori con le immagini proiettate a schermo.

“Monsieur Pain” è un romanzo controverso e forse troppo ambizioso. La sua grandezza, più che nelle pagine, risiede nella prospettiva. In quel tempestoso oceano narrativo che Bolaño ha navigato a lungo. Ricerca costante di nuovi linguaggi. Sfrontatezza. È tutto qui, si avverte. Si annusa. La differenza è che in “Monsieur Pain”, Bolaño non ha ancora trovato la sua vera voce.
Ma ormai manca davvero poco.

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