Oltre l’orizzonte

– Ehi, se ti prendo… ti faccio vedere io!

Con la fronte aggrottata, la bocca schiumante di rabbia, Angelo si alza dal sentiero in cui Nella, con uno spintone secco, inaspettato, l’ha fatto finire lungo disteso; spazza via il terriccio dai calzoncini con le toppe che, da tempo, hanno nascosto il colore originario, pesta il terreno con gli zoccoli, rischiando di perderli perchè sono più grandi di almeno due numeri.

-Va là che ti abitui, alla fine dell’estate ti saranno giusti – aveva liquidato la faccenda sua madre.

Angelo scatta di corsa per raggiungere la cugina. Sicuro che gliela farà pagare!

Man mano che le si avvicina però i lunghi passi diminuiscono d’intensità, come se lui avesse perso interesse per l’obiettivo. Nella, le mani sui fianchi, un sorriso beffardo e due occhi chiari, luminosi come il cielo di quel giorno di giugno, sul faccino da madonnina, lo sa; è certa che il cugino dentro di sé stia imprecando, dimostrando di possedere una vasta conoscenza della schiera dei santi senza far torto a nessuno, ma di sicuro non oserà ricambiare il maltolto.

Sì, perchè si stanno avvicinando a scuola e, se il bambino a casa si atteggia a dominatore dimostrando una fantasia inesauribile nell’inventarsi dispetti o testando su di lei parole impronunciabili, sentite dai grandi, per assicurarsi dell’effetto che fanno, sa che la scuola è il regno di Nella. Qualcosa di assodato da tempo, ma mai pronunciato a voce alta gli suggerisce ancora una volta che qui dipende da lei, dalla sua clemenza, soprattutto oggi che dovranno risolvere un problema, una delle prove finali, prima che inizino le vacanze. Nella gli suggerirà la risposta, magari non dopo essersi fatta supplicare un bel po’, giusto il tempo calcolato per vederlo sull’orlo del disfacimento totale.

L’orgoglio di maschio deve però essere salvaguardato: – Va in malora Nella; non voglio neanche sporcarmi le mani con te, ruffiana di una femmina.

– Ecco, finalmente hai detto una cosa sacrosanta: più di così non te le puoi sporcare; da quanto non ti lavi?

In effetti le mani di Angelo hanno i segni del giorno precedente; oltre alle striature verdastre e le unghie nere, dell’erba hanno ancora l’odore addosso. Era già tardi quando lui, il papà e lo zio avevano finito il primo taglio della stagione sul pendio vicino alle case; cominciava ad imbrunire e, falci e rastrelli sulle spalle, erano rientrati in casa. Un piatto di fagioli, l’immancabile polenta e poi a letto. Una sbrigativa scrollata di spalle era stata una risposta più che sufficiente al richiamo di sua madre:

– Ti ho scaldato un po’ d’acqua: è lì nel catino.

Chi aveva forze, voglia di lavarsi?

Adesso, a giorni, sarà l’ora della mietitura del grano che manda il suo richiamo con i bagliori d’oro finissimo dal campo vicino, ma allora la scuola sarà finita. Mancano solo quattro giorni e sebbene ci sarà lavorare da mattina a sera sempre meglio, molto meglio che essere imprigionati tra quelle mura dove tutto è una finta: fingere di ascoltare, di essere interessato, di comprendere, di aver fatto i compiti. L’unica cosa per cui valeva la pena andarci era fare i dispetti alla bambina che aveva nel banco davanti per poi provare sempre nuove espressioni facciali: – Ma chi io? Ma figurati!

Sembra che anche Nella stia seguendo la stessa idea; non di rado è successo che i due cugini, nati a pochi mesi di distanza, cresciuti nella stessa casa, abbiano sintonizzato i loro pensieri.

– Se penso che è finita, guarda Nella, l’ultimo giorno, sai che fine faranno questi quaderni?

E per dare fondamento alle parole Angelo, con un calcio, intanto fa fare un primo volo di prova alla cartella di legno che il papà gli aveva fatto, una vera ricchezza rispetto allo spago con cui quasi tutti i suoi compagni tenevano il misero materiale scolastico.

cartella di legno

Nella sorride, un po’ assente: è tipico di Angelo dimenticare ciò che è successo un istante prima, cancellarlo, passare oltre, lasciarsi prendere da qualcos’altro.

Quei tre mesi di vita che lei ha in più del cugino se li è sentiti addosso soprattutto negli ultimi tempi, come se le avessero regalato una nuova percezione della vita.

I giorni futuri saranno fatti di lavoro, quello dei campi che non manca mai, ma che in fondo in fondo si può anche fare, quello della casa, della cucina, del bucato, dell’orto, delle galline.

Ciò che proprio non sopporta è badare a quella lagna di fratello, che starebbe sempre attaccato alle gonne della mamma, che parla poco ma frigna tanto, che inventa dispetti aggiuntivi, e allora sì che sa trovare le parole, a quelli che lei, a dir la verità, non lesina di fargli.

– Ma ha quasi sei anni – aveva ribattuto immusonita alla madre il giorno prima – può arrivarci da solo al pollaio a rinchiudere le galline. Io lo facevo prima di lui.

Ma un’occhiata del padre, arrivato in quel momento dalla stalla, aveva chiuso l’argomento. Così se l’era preso per mano, quella catastrofe di fratello, non senza assestargli ogni tanto uno strattone. Che si svegliasse!

Però la cosa più strana di tutte era, e non lo diceva a nessuno, che a lei andare a scuola piaceva, piaceva eccome! Tutto l’affascinava: l’odore delle viole mammole che crescevano in un vaso di latta sullo scalino d’entrata, quello della legna accatastata appena dentro la porta con cui solo nelle giornate più fredde veniva riscaldata la stanzetta e quello del gesso; una volta ne aveva preso un pezzetto di nascosto e poi a casa ogni tanto se lo portava alle narici.

Anche ciò che Angelo detestava del tragitto che percorrevano ogni giorno che era lungo, e bisognava partire presto dal pugno di case dove abitavano per raggiungere la scuola del paese, a lei piaceva. C’erano quelle mattine d’inverno in cui la brina, a volte la neve, si addensavano perchè il sole lì, sotto le fratte, in quei mesi non aveva la misericordia di farsi vedere, e gli zoccoli di legno scivolavano; quante volte si erano presi in giro perchè uno dei due finiva con il sedere a terra?

Per non parlare delle mani, mai riparate da guanti provvidenziali, non usava farlo, quando il freddo le trafiggeva con mille spilli; a volte invece non le sentiva neanche più, come fossero appendici del corpo scomparse.

Ma c’erano anche le mattine d’autunno con quelle nebbioline basse quando avvistavano, poco lontano, gli ultimi frutti penzolanti dai rami, certi fichi o mele o grappoletti d’uva che sembravano rinsecchiti. Uno dei due faceva il palo e l’altro, con una corsetta guardinga andava a rubarli: presi a morsi, rivelavano una dolcezza inaspettata che rimaneva a lungo imprigionata tra i denti.

E mentre ritornavano a casa, i discorsi di Angelo, che più si allontanava da scuola più diventava sfrontato e sicuro, in fondo la divertivano. Quel mezzo matto che una ne faceva e cento ne pensava! Non si accorgeva nemmeno di essere arrivata quando magari decidevano di calciare un sasso, a turno, senza mai farlo uscire dal sentiero.

Ora la scuola finiva e finiva per davvero perché lì, nel piccolo paese, le classi erano quattro anche se unite in un’unica pluriclasse: erano gli ultimi giorni di quarta per lei e per Angelo; chi voleva fare la quinta si doveva spostare nel capoluogo. Ma chi lo faceva? Nella non ne conosceva nessuno: nessuno che sognasse un futuro diverso da quello dei campi da lavorare, dell’occuparsi della casa e di tutto ciò che la circondava.

– Ti rendi conto Nella, ma di’, capisci che è finita? Finita!

Si rendeva conto sì Nella, ci pensava soprattutto la sera quando il fratello già dormiva e lei stava con gli occhi spalancati al soffitto a cercare sulle travi di legno le immagini che erano già note e quelle che si inventava di nuove. Della scuola lei si era innamorata il primo giorno, quattro anni prima, anche se stava attenta a nasconderlo: non voleva essere presa in giro da quelle capre dei compagni. Ogni tanto si sentiva scrutata dagli occhi, anche se un po’ strabici, della maestra, come se i suoi pensieri non avessero scudo di protezione, eppure lei ce la metteva tutta per rimanere distaccata; non dava confidenze agli estranei Nella: così le avevano insegnato a casa.

Quando si sedeva al banco di legno e aveva davanti la pagina pulita del quaderno a righe tutto poteva succedere: lì sopra appoggiava con tutta l’accortezza di cui era capace parole; poteva scriverne di nuove quasi ogni giorno, e intanto se le ripeteva sottovoce perché ne avvertiva la ricchezza e perchè non le scappassero ora che erano diventate anche sue.

E in quello a quadretti i numeri le mostravano salti pirotecnici, soluzioni sempre più ardite, inimmaginabili, che si potevano creare quando si intersecavano fra loro: la sua mente li rincorreva, li acciuffava, mai paga, sempre pronta a scoprirne le infinite possibilità.

Se apriva il libro di lettura, nelle immagini trovava famiglie sorridenti, ben vestite, sedute ad un tavolo dove c’erano tante posate, piatti delle stesse tinte, non sbeccati e perfino il tovagliolo. In una delle pagine era addirittura raffigurato il mare: aveva provato anche lei a disegnarlo, ma come rappresentare quelle sfumature con il suo unico colore blu? Al massimo, a schiacciarlo un po’ meno sul foglio, si poteva avvicinare all’azzurro.

No, non era invidia ciò che provava ma solo stupore, curiosità, ammirazione di fronte ad un mondo sconosciuto. Esisteva davvero quel mondo?

E ciò che leggeva? Aveva provato la meraviglia di incontrare i propri pensieri scritti; si parlava di sensazioni, di sentimenti, di cose strane di cui in famiglia non si trattava mai. Non c’era tempo, non c’era l’abitudine. A farla da padrone erano le preoccupazioni: quelle per il secco, i fulmini, le piogge, la grandine. Le parole che sentiva erano quelle degli ordini che le venivano rivolti.

– C’è il fuoco della stufa da accendere. C’è il radicchio da raccogliere e da pulire. Tuo fratello, dov’è? Vai a cercarlo.

Non erano dette con cattiveria o con astio, no per carità: era così, erano quelle le parole che servivano davvero.

Il sentiero è finito, pochi metri e anche oggi sono arrivati a scuola.

Appena entrata nell’auletta Nella se li beve, se li mangia quegli odori: di carta, di inchiostro, di pulito. Vuole farsene un’indigestione per le giornate che verranno.

– Ehi, Nella come lo fai tu il problema ? L’hai finito?

banco di legno scuolaStamattina non ha neanche voglia di farlo stare in pena; con un gesto fulmineo, ormai consolidato dall’abitudine, passa il bigliettino che ha già preparato, tanto lo sapeva: Angelo con l’espressione di finta concentrazione, che morsica il pennino e fa vagare lo sguardo nel vuoto come cercando la soluzione, a lei non la dà a bere.

– Tieni, testa vuota.

Sono in cinque che finiscono la quarta; senza più la scuola, ancora qualche gioco, magari per i maschi, ma per le femmine ciò che fino a poco tempo primo, giocare alle donnine, alle mamme, è stato tollerato, ormai non sarà più proponibile. Le esigenze della famiglia copriranno tutto il tempo.

Terminata, troppo in fretta come sempre, anche questa giornata di scuola, tutti sono pronti per scatenarsi all’uscita. Ma un cenno della maestra di fermarsi un attimo, lascia Nella bloccata. Cosa succede? Forse quel mammalucco di Angelo si è fatto beccare con il bigliettino? Strano, non se n’era accorta. Intanto gli altri sono usciti tutti; vede il cugino sul muretto che la aspetta dondolando le gambe, impaziente come sempre.

– Senti Nina, devo dirti una cosa. Tempo fa è venuto tuo papà a parlarmi.

Il papà?! Il papà che varcava la porta della scuola? Allora la cosa è più grave del previsto.

– Mi diceva che ad ottobre tuo fratello verrà a scuola.

E cosa c’entra la lagna adesso? Sempre in mezzo a rovinarle l’esistenza. Anche qui, a scuola?

– Tuo padre mi chiedeva se… siccome tu fratello dovrebbe fare tutta la strada da solo per venire a scuola…se tu potessi accompagnarlo. Insomma Nella, ne ho parlato al direttore; dice che si può fare. Faremo in modo che tu debba ripetere la quarta, anche se sei così brava, così verresti a scuola un altro anno per fare la strada insieme a lui, visto che è ancora piccolo.

Nella sbianca, si sente come quando va alla messa prima, a digiuno per poter fare la comunione, con le gambe che non la sostengono, si appoggia al banco più vicino.

– Non dici niente? – Magari ti sembra un’umiliazione, ma….

Umiliazione? Sì, conosce questa parola: era in una delle lettura, significa vergogna. Ma in questo momento per lei vuol dire qualcosa che esplode, che le toglie il respiro, una di quelle cose che sono spiegate solo nel libro.

– Vedrai che un altr’anno passa presto Nella.

No, un anno è infinito! Trascinare la lagna sul sentiero? Ci avrebbe fatto l’abitudine. Perfino sulle spalle l’avrebbe portato. O sotto il braccio, magari legato con lo spago del materiale; se fosse servito, anche a calci, come il sasso che lei e Angelo spingevano avanti.

– Guarda Nella, non è che puoi pensarci. Ormai la decisione è presa.

– Va bene, a domani, buongiorno – trova la forza di balbettare solo questo.

Mentre esce la raggiungono sulla porta le ultime parole della maestra:

– Ho pensato che, quando inizierà la scuola, ti porterò dei libri nuovi; così potrai passare del tempo a leggerli e non ti annoierai.

All’uscita gli occhi di Angelo la scrutano: anche un allocco come lui, con la sensibilità di un tronco di legno, capisce che per ora è meglio non chiedere; deve essere successo qualcosa di grave. Meglio distrarla, parlare di altro.

– Sai Nella, pensavo che quest’autunno visto che non si va più a scuola potremo arrivare lassù sulla montagna, vedi là? Non ci siamo mai arrivati, proprio in alto dove tocca il cielo…

– Si chiama orizzonte, Angelo, orizzonte – mormora Nella, girandosi appena verso di lui con una dolcezza ritrovata.

– Ori che?

Non risponde neanche: come si fa a parlare di fronte al regalo che ha appena ricevuto? Sorride, insegue i suoi pensieri; alza gli occhi alla linea dove monte e cielo giocano ad un salto cromatico.

Vai Angelo, vai a scoprire l’orizzonte. Io sbircerò al di là della montagna con le parole, aprirò gli occhi di meraviglia davanti a tutti i punti esclamativi che incontrerò, mi racchiuderò dentro le parentesi per cercare le risposte ai punti di domanda in cui andrò a sbattere.

Con i libri valicherò le vette, andrò a rotoloni giù nella valle e risalirò ancora; non ci saranno limiti.

Avanti, ancora avanti, oltre l’orizzonte.

Loretta Casagrande.

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