“Quel maledetto Vronskij” – Claudio Piersanti


Voto: 5 stelle / 5

Una coppia matura è unita come il primo giorno. Accade a pochi. Da poco, però, le loro vite si stanno separando. Accade a molti. Questo è l’inizio di “Quel maledetto Vronskij” di Claudio Piersanti (Rizzoli 2021), uno dei dodici finalisti della 76esima edizione del Premio Strega.

L’autore analizza i colori smorzati, ma non meno incisivi, di un matrimonio riuscito che il destino mette alla prova. Malgrado siano numerosi gli spunti interpretativi, penso che Piersanti desideri raccontare una storia d’amore di straordinaria normalità. Le impennate della trama, il lessico elegante della sottrazione, flussi di coscienza disciplinati, ceselli psicologici e un titolo magnetico sono i punti di forza del romanzo.

Pregevole anche lo spazio dedicato alla faticosa bellezza della concretezza, che l’era della digitalizzazione sta accantonando.

Trama di Quel maledetto Vronskij

Giovanni e Giulia stanno insieme dall’adolescenza. Sono legati da un’affinità elettiva che la consuetudine di un matrimonio quasi trentennale ha perfezionato. Una ritualità di abitudini, piccoli gesti, totale intimità, empatia, che ignora la noia del quotidiano. Giovanni e Giulia non hanno bisogno di tante parole per capirsi. Per lui “tipografo onesto che sa fare il suo mestiere come pochi“, le parole sono oggetti preziosi da centellinare.

Invece, il tesoro di Giulia è un giardino di piante rare e profumate da fare invidia a Emily Dickinson, che cura con perizia e devozione. Quanto alle parole, preferisce agire oppure scegliere la voce dello sguardo e del silenzio. Specialmente da quando combatte con una malattia importante. È in questo scenario psicologico che Giulia si volatilizza.

Soltanto pochi mesi prima aveva il terrore di perderla per la malattia e all’improvviso l’aveva persa quando sembrava guarita.》

Il significato del titolo

La decifrazione del titolo conduce al cuore del romanzo. Perché Vronskij è il rivale, lo specchio di sé, l’intruso. Infatti è “maledetto”.

Il rivale

Quando trova un laconico biglietto della moglie che recita: “Perdonami, sono tanto stanca. Non mi cercare”, Giovanni si convince che in ballo ci sia un amante. È naturale pensare a un altro uomo e fare i conti con la gelosia. Giulia è attraente, istruita e disinvolta. Di conseguenza “quel maledetto Vronskij” diventa il rivale in versione 2.0 che gli ha portato via la moglie.

Infatti il conte Vronskij è il seduttore per eccellenza, uno sfasciafamiglie. Una nomea immeritata dato che, sfegatata tolstoiana, parteggio per lui.

Lo specchio

Spinto dalla gelosia, Giovanni abbozza un autoritratto per procura, per interposta persona quando si confronta con l’ipotetico rivale. Il risultato sconforta: lui è l’opposto di Vronskij, in termini di essere e avere.

Dunque questa gara, perduta in partenza, gli permette di ricalcare i suoi bordi esistenziali. E così il tipografo abbandonato trova la conferma di essere un uomo incolore. Non si chiede forse da sempre perché una donna come Giulia lo abbia scelto? Nel corso della lettura vi accorgerete dell’inesattezza della sua diagnosi.

L’intruso

Quel maledetto Vronskij” è la malattia e la paura che, alimentando una cupa ansietà, congelano il futuro nella sospensione del presente. “Il male era entrato nella loro casa”.

Recensione

L’ambientazione spazio temporale poco insistita mi sembra una scelta coerente. Solo chi ci vive riconosce che la vicenda si svolge a Milano. Perché Giovanni e Giulia condividono il tempo sospeso che esclude l’esterno e la Storia. Il tempo sospeso di chi affronta una malattia e di chi attende il ritorno della moglie.

Giovanni non si impantana in ricordi idealizzati. Non cede a colpevolizzare il coniuge che ha abbandonato il tetto coniugale. La sua è un’attesa operosa, perché si dedica con tenacia alla realizzazione di un’edizione di lusso. Un esemplare unico da donare alla sua Giulia, quando tornerà. Il titolo del libro l’avete già indovinato.

Commenti