“Un freezer per il morto” – Antonio Mosisca

Trama e recensione Un freezer per il morto


Voto: 5 stelle / 5

Ecco un romanzo giallo all’italiana che non si prende affatto sul serio, ma per i lettori sarà davvero uno spasso. Col morto, altrimenti che thriller sarebbe?

copertina un freezer per il mortoAntonio chi? Mesisca?

Ricorrendo alla sapienza enciclopedica di Google, apprendiamo che Antonio Mesisca da Novara è ricaduto in tentazione. Già autore nel 2015 di “Nero Dostoevskij”, un thriller per la napoletana Scrittura & Scritture, si è ripetuto firmando sempre per la casa editrice di Corso Vittorio un altro noir tutto da ridere, “Un freezer per il morto” (collana Catrame, maggio 2019, 237 pagine 13.50 euro).

Con Antonio bisogna prendere le cose poco sul serio, altrimenti ci sarebbe da piangere insieme a lui. Cosa volete da uno che fin dal primo vagito ha trovato il modo di rovinare le feste alla mamma? Fine gravidanza tra Natale e San Silvestro, ma neanche il buon gusto di interessare i giornali, venendo alla luce nelle prime ore del nuovo anno. Lui no, lui. È nato il 2 gennaio 1975, ma si può? Roba da sfigati a vita, come classificarsi centunesima alle selezioni delle cento aspiranti alla finale di Miss Italia!

Se il buongiorno si vede dal mattino, cosa aspettarsi per il futuro scrittore col passare del tempo? Una carriera da giovane calciatore panchinaro e da conduttore neopatentato di un maggiolone scassato, quando i coetanei giravano a bordo delle prime cabriolette. Loro ad attrarre gli sguardi delle belle ragazze, lui con le mani unte d’olio: smonta di qua, sostituisci di là…

Mesisca ha una ferramenta

Del resto, si direbbe nata dalle familiarità con autoveicoli all’ultimo respiro l’attività che gli consente oggi di sbarcare il lunario (vendo bulloni, dice) e di scrivere romanzi. Noir spiritosi, con un’insolita e originale cadenza ironico-umoristica. Ha preso fiducia da quando un suo testo è stato ben considerato in un concorso letterario ed ha così potuto giustificare le ore sottratte alla famiglia e al sonno.

Sicchè, adesso che l’abbiamo conosciuto, guai a chi tocca Antonio Mesisca, autore piemontese sotto contratto con un editore partenopeo. Insomma, non solo ha saputo unire Nord e Sud (non è poco), ma è riuscito a trasferire nei suoi romanzi la sfiga che l’accompagnava come il pappagallo sulla spalla di Long John Silver, nell’Isola del tesoro di Stevenson.

Chi è più sfigato di Franco Bianco, rivenditore di ferramenta – combinazione! – e protagonista del romanzo? Sembrano giustificate le sue riserve sul nome che mamma e papà gli hanno affibbiato. Innanzitutto per la rima baciata stucchevole “co-co” tra nome e cognome, poi perché quattro lettere uguali su sei sono troppe. Terzo motivo di recriminazione, la differenza fatale con un attore di cinema tanto popolare nella sua adolescenza: non è bello vedersi canzonare come l’opposto scarso di Franco Nero, mattatore con gli occhi di ghiaccio dei western all’italiana.

Anche Franco Bianco ha una ferramenta

Ma non ha motivo di lamentarsi solo del passato, pure del presente, il nostro Franco, bianco come un cencio.

A voler giocare col titolo del thriller, è lui il responsabile, tanto del freezer che del morto. Il defunto si chiama Cabrio, Mauro Cabrio, imprenditore nel ramo ascensori, insolvente recidivo. Ne ha fregati di creditori! Deve un fracco di soldi anche a Bianco e un caldissimo sabato di fine giugno è venuto a dirgli che di saldare il debito non se ne parla.

Sarà il sorriso del cavolo, sarà il ronzio del ventilatore, il caldo bestia e soprattutto l’abito Armani da mille euro indosso al bellimbusto… a Franco parte un cazzotto in faccia, da farlo nero. Fatalità, combinazione, sfiga… più morto che nero.

Sorpreso, Cabrio cade all’indietro, colpendo con la nuca una mensola d’acciaio del negozio. Il contraccolpo lo spinge verso la scala che scende al reparto giardinaggio, dodici gradini, dove finisce abbracciato a un tagliaerba di marca. Creditore non pagato e pugile involontario, Franco Bianco è irritato dal casino provocato dal batti e ribatti di quel corpaccione e quasi non sente la voce dal di sotto. Dopotutto, proviene dalle corde vocali di Big Adriano, dipendente unico della ferramenta, quindici parole, forse meno, in tre anni di onorato servizio e di ostinato silenzio. Ma la cosa peggiore è la calamità definitiva annunciata dalle due parole in croce pronunciate: “è morto”.

“È morto”

Qui comincia il dramma, si direbbe. No, continua la commedia, perché al cadavere ben gli sta, se l’è meritata. 32mila euro di debiti messi in fresco… e dire che a Franco gliel’avevano detto di non cascarci, Cabrio ne aveva fregata di gente!

Uno ha un gesto di collera e quello invece di andare via su tutte le furie ha tirato le cuoia al piano di sotto! Già vede cosa lo aspetta: titoloni anche sulle testate paesane, telecamere invadenti, conoscenti che risponderanno “sembrava tanto una brava persona”, la mamma in lacrime, la moglie che sbraita “te la sei meritata”, i video di YouPorn che la Polizia troverà nel suo pc.

Che ne sarà del negozio? È tanto orgoglioso della ferramenta MI IMPORTA UNA SEGA. IMPORTAZIONE E VENDITA ATTREZZATURE PER IL FAI DA TE. Tutto in malora per una faccia di…

Sono i congiunti a mettere su un progetto per tenerlo lontano dalle sbarre e dai talk show televisivi. Più loro che lui, preso da mille rimorsi e sensi di colpa. La cricca degli svitati lo aiuta a tenere duro. Certo, c’è un cadavere di cui disfarsi e una banda di criminali da strapazzo da far restare debitamente alla larga, oltre a un papà da calmare, un fratello da contenere, una moglie da gestire saggiamente. E poi c’è pure Max Pezzali. Come se non bastassero gli altri.

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  1. Maria Caterina 29/06/2020

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