“Via Gemito” – Domenico Starnone


Voto: 5 stelle / 5

Essere una community affiatata crea anche situazioni abbastanza divertenti. Ci è capitato di conversare su Domenico Starnone e di chiamare in causa “Via Gemito”, vincitore del Premio Strega 2001. La curiosità suscitata è stata tale che due delle nostre recensioniste lo hanno non solo letto, ma perfino recensito nelle stesse ore.

Quindi non possiamo fare altro che farvele leggere entrambe, proponendovelo nello stesso ordine di arrivo.

La recensione di Adelaide Landi

Trama di Via Gemito

Federico Starnone, padre dell’autore, nasce già pittore. Fin da piccolo l’amore per i colori, per la rappresentazione personale di ciò che lo ispira è forte, lui non può non sentirla, chi gli sta intorno non può non notarlo. Suo padre lo nota, ma non contempla possibilità nell’aleatorietà dell’arte. Così Federico non studia, diventa ferroviere, ma tutto il tempo che ha quando non lavora è per la pittura.

La frustrazione permea casa Starnone, ma Domenico, adulto e scrittore già formato ce la offre come lente per far affiorare il dolore che c’è dietro, e con esso la bellezza che ogni comprensione porta con sé. Ci regala un ritratto della sua infanzia che prende forma insieme al quadro I bevitori cui, da ragazzino, contribuisce alla realizzazione, posando per suo padre.

Recensione

Domenico Starnone si tuffa nei ricordi: riaffiorano immagini, rivivono emozioni. La fantasia riempie i vuoti di una memoria che inganna, nel suo incedere traditore. L’affresco dell’infanzia ha i colori caldi della nostalgia, del rimpianto, del rammarico.

Il viaggio nei ricordi è difficile, doloroso, Starnone cerca di incastrare i pezzi, ma ne trova sempre di nuovi, che non sa spiegare. Ogni episodio assume una connotazione nuova, quella giusta solo con il filtro del tempo, dell’esperienza. Tutto ciò che ha suscitato rabbia, paura, rancore indossa oggi tutt’altre vesti.

“Di lui ricordo tutto, mi ha riempito la testa con parole sue, pensieri suoi. Di mia madre invece non ho una sola parola, non ho un pensiero. Eppure le prime sillabe mi sono venute certamente da lei.”

Rusinè, la madre di Starnone, è un personaggio che difficilmente dimenticherò. Mi piace pensare a lei come vera protagonista di questo lungo narrare all’indietro, perché ho avuto la sensazione che a tirare i fili di tutto sia stata lei. Lei, donna semplice, modesta nei modi e nelle ambizioni, ha capito sempre suo marito, amandolo di un amore che non riesco a spiegare in un modo più semplice di così. Ha visto l’artista irrealizzato nella sua frenesia, nella sua violenza e non lo ha mai ostacolato.

“Com’era? Non lo saprò mai. Quando si apparecchiava con cura per uscire con mio padre, sembrava davvero un’attrice stupefacente. In quei casi era Federì che pareva non essere all’altezza……Li osservavo con apprensione, coppia in bilico, alleati e rivali secondo mosse loro che mi erano oscure.”

La narrazione si perde a volte in aneddoti che risultano noiosi: sembra un flusso di immagini che l’autore non riesce a controllare, come l’eco di conflitti ancora irrisolti, che mi sono risultati inutili, superflui. Ma la lettura non ne ha risentito, è bastato staccarmi da Mimì per qualche giorno, dedicandomi, come faccio sempre, ad altri personaggi, per avere un quadro finale assolutamente positivo.

La recensione di Arcangela Guida

“Via Gemito” è la storia di Federico (Federì), un uomo rancoroso e altezzoso, che per tutta l’esistenza ha attribuito alla sua famiglia la colpa di non aver raggiunto l’apice del successo come pittore. Se non avesse avuto una moglie e dei figli, non si sarebbe dovuto accontentare di lavorare come ferroviere per assicurare loro un piatto caldo e un tetto sulla testa. Se non ci fossero stati loro, moglie e figli, s’intende, sarebbe diventato un artista di gran fama, lui, Federì!

Un libro che arriva come un pugno allo stomaco, pugno allo stomaco sì, ben assestato e senza remora. O forse un pugno allo stomaco avrebbe fatto meno male. Le parole di Federì non sono mai casuali. Esse prevaricano, umiliano e lasciano a coloro che le subiscono, Mimì in particolare, un fondo di amarezza e sbigottimento. Hanno il potere straordinario le parole, di rendere libera la mente di un individuo oppure tarpargli le ali creando intorno a colui che per sensibilità non sa farle scivolare come fossero gocce sui vetri di una finestra in un giorno di pioggia, una gabbia di insicurezza mista a risentimento misto a rabbia, mista a rivalsa.

Insicurezza e profondo desiderio di volare altrove restando tuttavia là dove esse, sapienti e pronunciate con maestria, hanno fissato i loro chiodi.

Non è il commiato di Federì, non la sua morte a destabilizzare Mimì, piuttosto la ricerca, ripercorrendo le vie di Napoli, di bei ricordi e il constatare che sono ben pochi i momenti che la sua mente di adulto vorrebbe salvare.

Il titolo

Una casa, quella di via Gemito 64, fredda, dove di rado si intravede l’amore. Piuttosto il silenzio, l’accondiscendenza, l’ira, le violenze verbali e non solo, il pianto, le parole taciute come si tace pur sognandola la vendetta e il desiderio di uccidere un padre al quale per nulla al mondo si vorrebbe somigliare.

Via gemito ha il sapore di un urlo di dolore, una sofferenza sorda che parte dall’intimo e si dirama in ogni molecola del corpo dello scrittore. Difficile da capire, da contenere e infine da dimenticare. Ci sono volte in cui, per quanto ci si sforzi di allontanare il calice di dolore invece bisogna berne, non si esce da un tunnel se non lo si attraversa a volte senza luce, a tentoni con la certezza che si inciamperà e che alcune ferite saranno lunghe a rimarginarsi o forse non accadrà mai. 

Il finale

Poi il finale, il sapore di sale sulle spalle, l’intimità delle mura domestiche, uno sprazzo di normalità. Quello è un momento che vale la pena di ricordare. Il momento in cui la musica da violenta e scatenata si fa più pacata, il ballo disordinato rallenta, le note si fanno più dolci e si accende la luce.

Il dolore sembra trovar ragione quando tutto sbiadisce e quando arriva, seppur tardiva , la consapevolezza che il passato è passato e che con le parole è possibile modificare anche i ricordi per renderli più accettabili. Dopotutto, da morto, Federì è solo un uomo.

Una condivisione, quella dell’ autore che mi ha toccato per la durezza, per la sincerità e per il coraggio di mostrare al mondo la verità. L’autore si lascia andare, a ruota libera e assolutamente senza filtri. Talvolta capita che alcuni passaggi siano ripresi e ripetuti senza tuttavia, nulla togliere alla bellezza del racconto che, a tratti assume le sembianze di uno sfogo.

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