Nel 1995 arrivava in Italia “La famiglia Winshaw”, di Jonathan Coe (titolo originale “What a carve up!”, che suonerebbe come “Che ripartizione!”), il romanzo vincitore dello storico John Llewellyn Rhys Prize, uno dei Premi più antichi e longevi d’Inghilterra per gli autori under 35.
La trama di La famiglia Winshaw
La trama ruota intorno, neanche a dirlo, i componenti della famiglia Winshaw. Sono ricchissimi e avidi e hanno nelle loro mani i meccanismi più importanti del Paese. Hanno mani in pasta nei campi dell’opinione, dell’allevamento, della cinematografia e perfino delle armi. Michael Owen è uno scrittore che riceve l’incarico di ricostruire la loro biografia.
Il libro è la combinazione di quello che scrive Michael (ritagli di giornale compresi) e quello che Michael vive, con un effetto verghiano: ci viene rivelato come ogni scelta dei potenti ricada sul piccolo cittadino, schiacciandolo come una formica sotto la punta dell’ombrello. Esisterà una punizione adatta?
Recensione
“Questo libro è una giostra”, ha commentato qualcuno sul gruppo Facebook Book Club Italia, che ha scelto “La famiglia Winshaw” come lettura per il mese di settembre. In effetti è la sintesi migliore: il movimento che percepiamo intorno a noi è di rotazione. Il libro si apre e si chiude nella grande casa di famiglia, in occasione prima di un compleanno e poi di una ripartizione (da qui il titolo). I personaggi appaiono e scompaiono continuamente, sbucano anche da dove non ti aspetti, anche quando nemmeno loro lo sanno.
Il libro inizia come un romanzo e finisce assomigliando a un giallo, in omaggio al canone dell’ “enigma della camera chiusa”. Si tratta di una specie di sottogenere letterario: nel giallo l’obiettivo è scoprire il responsabile, invece in una camera chiusa il colpo di scena si ha quando si scopre come il crimine è stato compiuto, perché apparentemente impossibile.
La lettura delle cinquecento pagine è gradevole, persino quando si entra in particolari crudi. Nell’edizione che ho letto io, del 1999 della Feltrinelli, ho trovato proposti alcuni antichismi che mi sono sembrati anacronistici, come il verbo “delibare” che significa assaporare qualcosa di squisito. Mi è rimasta la curiosità di conoscere la scelta in lingua originale, anche se della traduzione si è occupato Alberto Rollo, che all’epoca aveva quarantacinque anni ed era direttore letterario Feltrinelli dopo vent’anni in Baldini&Castoldi.
“What a carve up!” è stato adattato per una serie radiofonica da BBC Radio 4.