“Uomini di poca fede” – Nickolas Butler


Voto: 5 stelle / 5

“Uomini di poca fede”, il nuovo romanzo di Nicholas Butler, tra i più acclamati cantori della provincia americana, come si legge sulla copertina del volume Marsilio (gennaio 2020, 172 pagine, 17 euro), suggerirebbe una recensione di quelle piene di parole difficili, di considerazioni intelligenti, di periodi sintatticamente complessi.

Conflitto tra laicismo e fanatismo religioso

Ma quello che attrae maggiormente nella lettura sono le vicende narrate in modo tanto efficace dall’autore, che si prestano a sintetizzare una trama avvincente, a mettere in risalto i personaggi e i caratteri, a far cogliere la perfetta interazione. Insomma, il riuscito “insieme” che rende attraente un testo che consuma lo scontro di sempre tra il laicismo e il fanatismo religioso, tra la razionalità e la suggestionabilità.

Butler è nato in Pennsylvania ma è cresciuto nel periferico Wisconsin, in un territorio rurale al quale si ispira per raccontare i modelli di vita, le scelte ed anche i sacrifici della gente reale, trasformata nei personaggi immaginari dei suoi testi.

Si pensi a Lyle, il nonno 65enne di questo romanzo. Come tanti, ha un rapporto franco e non problematico con la fede. Nel mondo intorno si manifestano con evidenza valori di bellezza e armonia che si devono “a qualcuno che sta lassù”, oltre il cielo azzurro o le nuvole: se però crede a un creatore, senza meglio individuarlo, non ritiene che si debba per questo seguire necessariamente una fede religiosa e ancora meno far parte di una chiesa, di una confessione, di qualche congregazione.

L’amatissimo nipote Isaac

C’è altro che avvicina Lyle ad una persona reale: appartiene a quella non residuale parte degli abitanti del nostro pianeta che considerano i cimiteri oasi di calma e di riflessione, non luoghi inquietanti, tanto meno macabri. È proprio in un cimitero che incontriamo il nonno e l’amatissimo nipote Isaac, cinque anni, bimbo gentile, sensibile, curioso, intelligente. Sono nel piccolo camposanto di Redford-Wisconsin, non più di duecento tombe.

Tra le lapidi, c’è quella dell’unico figlio di Lyle e della moglie Peg, morto a nemmeno nove mesi di vita. Non ne avevano avuto altri e avevano adottato Shiloh, ora mamma di Isaac.

La perdita di Peter lo aveva allontanato da Dio, ma presto era arrivata quella bambina, una benedizione, ancora in fasce, nata da una ragazza madre. Era cresciuta brava, autonoma e aveva regalato loro la gioia più grande: il piccolo nipote. Avevano ripreso a frequentare la chiesa di Sant’Olaf, ma non per fede, semmai per amicizia nei confronti del pastore luterano, almeno per quanto riguarda Lyle.

Per Shiloh, invece, la religione aveva sempre avuto valore. Quand’era tornata dai genitori con Isaac, aveva preso a frequentare la loro chiesa, poi si era avvicinata ad una “fratellanza ecclesiale”, che si riuniva “in comunione” ogni pomeriggio, fino a sera, in un vecchio cinema, a La Crosse.

Una congregazione aconfessionale ma fondamentalista

Qualcosa scuote la calma riflessiva del bravo nonno, quando la figlia adottiva gli comunica di volersi trasferire col figlioletto presso la “sua” comunità. Cerca casa a La Crosse.

È una congregazione aconfessionale decisamente moderna: ognuno fa quello che gli pare, tra i sedili imbottiti malandati. Chi sorseggia un thermos, chi guarda il cellulare. Volendo, ci si può impegnare in canti confusi, che si alzano e si abbassano, come preghiere urlate o sussurrate. Il più eccentrico è il loro pastore, un giovane in jeans strapazzati per ottenere un effetto “vissuto”, scarpe da lavoro consumate, barba lunga e avambracci tatuati: una rockstar, più che un capo religioso.

L’insistenza di quest’uomo sulla parola “gregge” fa suonare in live il campanello d’allarme del conformismo in Lyle, peggio, del fanatismo.

Il quieto, pacifico mondo agreste è scossa dalla presenza di questo condottiero religioso tatuato, dal suo ascendente su tanti e tante, dal carisma esercitato sulla figlia, che allontana sempre più il piccolo nipote dai nonni. Il pastore Steven ha convinto Shiloh che Isaac possiede un dono: il Signore gli avrebbe concesso doti da guaritore, alle quali Lyle non crede affatto. mentre la moglie è più possibilista sui poteri del nipote, sostiene di avere avvertito una forza.

E poi ha soltanto cinque anni

Sembra che l’età non abbia molto da dire alla congrega fondamentalista e nonostante il buon carattere di Lyle, il conflitto con Steven è inevitabile.

Quando il piccolo si ammala, il fanatismo mostra il suo volto superstizioso, irrazionale. La comunità non ammette che il bambino possa essere curato. Solo Dio può guarire, non l’uomo, non i medicinali.

Il nipotino peggiora. Entra in coma. La setta si chiude in se stessa e su di lui, quasi fagocitandolo. Ma Lyle non ci sta, non può perdere un’altra vita senza far niente.

Il romanzo è in parte ispirato a fatti accaduti nel 2008, nel Wisconsin: una ragazza, il diabete, una congregazione… per guarire la giovane adepta, solo preghiere.

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