“Il pane perduto” – Edith Bruck


Voto: 5 stelle / 5

“Il pane perduto” è un romanzo autobiografico, pubblicato a gennaio 2021 dalla casa editrice “La nave di Teseo” ed è incentrato sulla vita della scrittrice Edith Bruck, nata nel 1931 da una famiglia ebrea di origini ungheresi. Dopo aver vissuto l’incubo della deportazione e aver viaggiato per anni in cerca di un’identità e di un posto nel mondo, arriva in Italia, trova una tanto sospirata stabilità e comincia a dedicarsi all’attività di scrittrice.
Il romanzo è tra i dodici finalisti della LXXV edizione del Premio Strega.

Trama de Il pane perduto

Ditke è una bambina serena, curiosa di tutto e di tutti, ama studiare, camminare scalza per le vie del suo piccolo paese in Ungheria ed è felice anche solo per una piccola dedica della maestra. E’ l’ultima di sei figli e la vita non è facile per la sua famiglia. Le leggi razziali cominciano ad annunciare cambiamenti, ma ancora non vengono applicate del tutto.
La tranquillità della sua vita viene sconvolta una mattina di primavera, quando due gendarmi compaiono sull’uscio di casa e obbligano tutti a seguirli con grida e bestemmie. L’ultimo ricordo della sua infanzia spezzata è legato alle pagnotte perdute che sua mamma doveva infornare, dopo che la vicina di casa aveva donato loro la farina per le festività pasquali e per placare la fame degli ultimi giorni.

Comincia così un viaggio nelle profondità dell’inferno, tra orrori indicibili e atroci sofferenze. Ditke conoscerà l’incubo del lager, il distacco dai genitori, i morsi della fame, la paura della morte. Al suo fianco solo la sorella Judit, sua forza e sostegno, e con lei riuscirà miracolosamente a sopravvivere.
Ma la vita fuori non è più la stessa, attorno e dentro sé solo macerie.

La parola patria non l’ho mai pronunciata: in nome della patria i popoli commettono ogni nefandezza. Ci vorrebbero parole nuove, anche per raccontare Auschwitz, una lingua nuova, una lingua che ferisce meno della mia.”

Ditke continuerà ad errare, alla ricerca di un’identità e di un senso alla sua esistenza, alla sua sopravvivenza. Israele, Atene, Istanbul, Zurigo, l’Italia, e qui finalmente un nuovo orizzonte di pace.

Recensione

Non è facile accostarsi ad una realtà così drammatica e vera allo stesso tempo. In poco più di cento pagine, Edith Bruck ci offre una testimonianza diretta della tragedia della Shoah, da custodire come un dono prezioso e tramandare alle generazioni future.

Racconta, non ci crederanno, racconta, se sopravvivi, anche per noi.”

Edith porge se stessa al lettore con la sua semplicità disarmante, con uno stile essenziale, privo di orpelli retorici, con il suo sguardo infantile sulla tragedia che la circonda e la opprime.
Ci insegna così che la parola “salvezza” non è sinonimo di “felicità”, che ricostruire i frammenti della sua esistenza è più difficile che vederla distrutta. La solitudine resta l’unica compagna, l’identità personale è perduta, così come il pane quotidiano, e le ombre continuano a perseguitare ovunque.

A stento riconoscevo me stessa, chiedendomi chi fossi in mezzo alla folla. Imbarazzata, emozionata, sdoppiata, scissa da me stessa e forse felice per ciò che stavo vivendo, mentre camminavo sul tappeto rosso, mi aveva preso una nostalgia dolorosa di me scalza, in corsa nella tiepida polvere della primavera sulla viuzza di Sei Case dove ero IO, senza passato, solo futuro, una vita fa.”

Il libro si conclude con una struggente lettera a Dio, intima preghiera di un cuore ormai stanco, che ha visto troppi orrori, ma trova ancora la forza di porre domande, cercare risposte e avanzare un’ultima richiesta: preservare la memoria, illuminare le giovani coscienze con la forza della testimonianza, in un mondo che spesso deve ancora combattere per la difesa dei diritti umani.
Per non dimenticare e per non far dimenticare. Mai.

2 Comments

  1. Cristina Mosca 20/01/2022
    • Nadia D'Onofrio 21/01/2022

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