
“A ovest della felicità” di Berenice D’Este (Neos Edizioni 2024, 144 p.) ha l’incanto di una fiaba moderna su un amore contrastato dal pregiudizio, una delle storie più raccontate al mondo che continua ad appassionare i lettori di ieri e di oggi.
Ringraziamo l’autrice per l’omaggio cartaceo.
Trama di A Ovest della felicità
Quando a distanza di anni la giovane Lietta, trasferitasi al Nord per lavoro, torna al suo paese per rimettere in sesto la casa ereditata dai genitori, la comunità è in fermento. Nei piccoli centri, soprattutto in un’isola del sud Italia, le notizie viaggiano veloci e sono tutti pronti a darle un caloroso benvenuto. Rivedere persone e luoghi fa esplodere un fuoco d’artificio di ricordi e tante emozioni prendono vita. Grazie a un linguaggio evocativo che coinvolge i cinque sensi, anche noi sentiamo le risate dei ragazzi a giocare in strada, il rintocco del campanile, il gusto della granita, l’odore del vento oppure scopriamo che alcune botteghe non ci sono più. Partecipiamo a colori, suoni, profumi, sapori, alla vita di un ambiente idilliaco. Sembra una luna di miele quella tra Lietta e la sua terra:
“I ricordi che salivano alla memoria erano tutti belli e anche per questo era certa che nessuno potesse nutrire una benché minima forma di antipatia nei suoi confronti. L’amicizia che aveva unito tutti i giovincelli dell’isola era stata forte e da tutti sentita“
Il soggiorno si preannuncia impegnativo e fonte di una rinnovata progettualità. Occorre un restyling della mobilia e scegliere quali oggetti di famiglia conservare. Poi le chiacchiere e le confidenze con le amiche che si contendono la sua compagnia. E la sera non può mancare a quell’intreccio tra sacro e profano della festa patronale dove canti, musica, danze e spettacoli la riportano indietro nel tempo.
Ma se gli occhi di Lietta brillano dell’unica luce che insieme a quella dell’intelligenza non si può fingere, la luce dell’amore, il merito è di Neirano. Giovane, affascinante, una di quelle persone che si incontrano quando la vita decide di farti un regalo. I due legano subito senza formalità, come si cercassero da sempre.
È stato lui a fare il primo passo per insegnarle a riscoprire la sua terra con lo sguardo di chi sa cogliere l’unità tra eros e natura, tra l’individuo e il tutto nel grande respiro dell’universo.
Ha avviato il corteggiamento tradizionale della sua gente, la comunità rom, confinata nell’entroterra dagli abitanti che la disprezzano. Ecco le sue parole quando Cupido ha già scoccato la sua freccia:
“Non ti penetro per prenderti, ma ti porgo, in ginocchio, il dono del mio essere e della natura che me l’ha dato perché tu lo possa inondare della tua essenza. Sono con la testa china davanti a te, quasi su di te, non per schiacciarti, ma per baciare la tua presenza, la tua apparizione, la tua aura, ora e tutte le volte che me lo concederai“
Quale donna resisterebbe alla magia di una tale dichiarazione d’amore?
Ma ben presto il pregiudizio contro il diverso da sé si fa veleno e trasforma in un nemico implacabile il paese. Alla notizia della loro frequentazione fa quadrato, innescando nuove dinamiche relazionali. Nel frattempo seguiamo l’enigma di un carteggio rinvenuto da Lietta nella casa avita. A chi appartiene? Perché è stato nascosto?
Recensione
La prima parte del romanzo accentua la positività del microcosmo rom e la trasfigurazione edenica del paese, riconducibile alla sfida tra città e campagna, qui in versione isolana. Alla fretta, al culto dell’efficienza, all’ipocrisia salottiera, all’inquinamento e all’individualismo cittadini si contrappone la lentezza, l’ospitalità e l’amicizia, la gioia della solidarietà. Su tutto regna una natura incontaminata in cui la coppia fa un’immersione panica alla D’Annunzio. È probabile che l’autrice abbia insistito su questi aspetti per far emergere il vulnus della delusione, tradimento, del senso di ingiustizia patiti dalla protagonista quando viene rinnegata dalla sua gente.
La seconda parte si concentra sul disincanto di Lietta di fronte alla realtà e sulla fenomenologia del pregiudizio che sfocia nella chiusura, nell’esclusione, nella violenza.
Scrive bene, Berenice D’Este, che ibrida prosa, poesia, teatro e un pizzico di saggistica. La scrittura è elegante, sensuale, cesellata, studiatissima. Sono numerosi i latinismi e viene palesata la lezione dei classici greci e latini, della grande letteratura, mito, favola, folklore, e cultura rom.
Il piano realistico si fonde con quello psicologico e simbolico e l’anello di congiunzione sembra Neirano: individuo in carne ed ossa, portale di conoscenza, sintesi delle categorie vessate dal pregiudizio ed emblema dell’amore assoluto. “A ovest della felicità” di Berenice D’Este è una lettura che ci sentiamo di consigliare a chi non ama la produzione mainstream e cerca un piccolo gioiello.
L’AUTRICE
Berenice D’Este vive e lavora a Torino dove ha organizzato convegni e collaborato con riviste d’arte e di letteratura. Ha recitato con vari gruppi torinesi, allestito numerosi spettacoli da regista, pubblicato testi teatrali e narrativi di successo. Con l’inedito del romanzo “A ovest della felicità” ha ricevuto la Menzione della Giuria al Premio Nazionale di Poesia e Narrativa Alda Merini, 2023.