“American Psycho” – Bret Easton Ellis


Voto: 4 stelle / 5

Esistono romanzi impossibili da concepire. Opere cupe, profonde ed incavate, che squarciano l’animo di chi le affronta fino a rendere dubbio anche l’assunto più ovvio. “American Psycho”, pubblicato da Bret Easton Ellis nel 1991, s’inserisce appieno in questo mondo contorto fatto di grida. Il lavoro dello scrittore statunitense non è un libro come tutti gli altri. Non restituisce fotogrammi nitidi di un mondo che bene o male tutti conosciamo, bensì scava, distrugge e divora, arrivando a quello che forse è il nucleo stesso dell’essenza umana.
Quello che abbiamo davanti è una sorta di Necronomicon dell’era moderna, un incubatore di violenza a tratti disarmante, nascosto appena sotto le spoglie grezze e patinate dello yuppismo. Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate. È tempo di scendere a sud del Paradiso.

Trama di American Psycho

Patrick Bateman vive l’epoca d’oro del sogno americano. Ventisei anni, lavoro a Wall Strett, vestiti firmati e un tavolo prenotato ogni sera in un ristorante diverso. Attorno a lui, il meglio della gioventù newyorchese. Tra di loro sono tutti d’accordo. Patrick è dolce, affettuoso e simpatico. Certo, ogni tanto s’interessa a cose bizzarre. Altre volte mormora sottovoce frasi strane e prive di senso. Però è un tipo a posto, che non sfigura in locali dove la presenza è più importante della cucina.

In realtà, Bateman non è a posto proprio per niente. A guardarlo di sfuggita, sembra davvero il classico ragazzo della porta accanto. Eppure, il vero problema è proprio questo. A New York, nel suo ambiente fatto di commenti futili, materialismo sfrenato e depressione cronica, tutti si guardano di sfuggita. Nessuno scruta davvero chi gli passa accanto. E dunque, nessuno realizza che Patrick, quando calano le tenebre, si trasforma in un assassino sadico e sanguinario, che tortura ed uccide ragazze, mendicanti e addirittura bambini.
Completamente alienato dalla realtà, Patrick talvolta confessa i suoi crimini a coloro che gli stanno intorno, ma nessuno lo ascolta. I suoi amici sono tutti uguali, ripetono sempre gli stessi discorsi, arrivando persino a confondersi tra loro. Belli, ricchi, tirati a lucido fino all’ultimo capello. E poi? E poi nulla.

Recensione

“American Psycho” è il lamento disperato di un demonio che non riesce più a sopportare l’Inferno. Ellis propone con coraggio un protagonista malato, imperdonabile e a tratti davvero inconcepibile. Alcune scene mettono su carta una violenza cruda e folle, spaventosa proprio per la sua intrinseca insensatezza, amplificata ulteriormente da uno stile che narra il tutto senza battere ciglio.
Patrick Bateman, narratore della vicenda, non si stupisce affatto per quello che racconta, anzi. I suoi morbosi discorsi quotidiani contengono spesso, soprattutto nella parte iniziale, dei piccoli riferimenti che fanno accapponare la pelle, svelati con la naturalezza tipica di chi considera il tutto come ordinaria amministrazione.

La prima parte del romanzo fotografa appieno lo stile di vita evanescente e fittizio cui Patrick si sottomette. I dialoghi, in particolare quelli con i suoi colleghi, sono sempre deliranti, scoscesi e senza una vera e propria direzione. Ogni personaggio sembra parlare da solo. Nessuno ascolta l’altro, nessuno conversa davvero. Nella seconda parte, invece, la violenza prende il sopravvento, abbandonando quello stile elusivo e disturbante in favore di un parossismo distruttivo.

In questo senso, l’opera di Ellis riesce appieno nel suo intento. L’atmosfera, per quanto malevola, è densa di un fascino inspiegabile ma vivo. Patrick Bateman è un protagonista eccellente, nonostante i suoi atti divengano sempre più intollerabili.
Lo stile travolgente della narrazione, a volte improvviso, frenetico e privo di punteggiatura, potrebbe scoraggiare i lettori più impazienti. Ma per tutti gli altri, il cocktail proposto da American Psycho”, nonostante il retrogusto acido del sangue rappreso, rappresenterà un’esperienza davvero originale. Forza e coraggio.

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