“Armonia”

Il tintinnare del cucchiaino interrompe il silenzio della cucina. In una ritualità cui non puoi rinunciare, a quella tazzina leggermente sbeccata sul bordo, per la quale dici sempre “ancora una volta e poi la butto”, il tuo inconscio probabilmente attribuisce proprietà scaramantiche. Intanto il gatto si struscia fra i piedi, con un opportunismo che hai deciso di scambiare per affetto, mentre scosti la tenda e scruti il colore indeciso del cielo ancora abbrancato alla notte.
Poche ore prima avevi sentito il martellare della pioggia sopra il tetto. Ed ora, nell’attesa che il giorno mostri la sua chiara, precisa fisionomia, più che vedere, puoi solo immaginare il colore verde argenteo dell’erba ancora impregnata di gocce benevole ed il vapore sottile alzarsi dal prato.

Dopo il caffè, ciò che ti serve in questo scampolo di tempo, è solo lo spirito di meraviglia in appostamento ed una vecchia, confortevole maglia buttata sulle spalle con funzione di sciarpa: il piacere istintivo di uscire per accaparrarti il meglio dentro una pace ed un silenzio diffusi che danno valore ad ogni cosa.
Davanti hai un lembo di prato su cui camminare, aspettando un giorno senza niente di speciale, ma in cui respiri, vivi, per ora solo una promessa: a rammentarlo quella falce di luna scialba e lontana. Percepirti vitale con poco, prima che la mente si distragga e si corrompa, ingombrata da gesti inconsapevoli e maldestri nel trattenere il bello, prima che il sole diventi maestoso, e intorno sia trionfo di luce.

Tutto è ancora indistinto ma, anche ad occhi chiusi, riusciresti a vedere in alto la montagna, con la fioritura bianca ma ormai svigorita dei ciliegi selvatici a mezza costa e, più in basso, sul colle, la chiesa a vigilare da sempre. Si affacciano già le prime luci nelle case sparpagliate del paese vicino e in quelle del tuo borgo addossate le une alle altre. Dietro un’imposta che si apre, immagini le vite nascoste, ognuna col suo carico di aspettative per questo giorno.
La svagata concentrazione in cui sei immersa non indugia sull’abitazione più vicina – ora casa delle assenze – costruita tanti anni prima da tuo padre, da dove scaturisce un silenzio diverso, pesante e risonante. Forse l’avanzare del tempo non è stato infruttuoso però se, nonostante il rimescolio dei vuoti da portarti addosso, quelli ricevuti ma ancor più quelli restituiti, lo sguardo brama tutto ciò che è vivo.
Un’altra casa, vedi il sollevarsi della tapparella: sai che là dietro c’è una persona pronta ad affrontare una giornata di dedizione e di assistenza alle fragilità; tu sorridi pensando al privilegio di esserle amica, alla sua salda fede cristiana e alla tua fede laica che si incontrano nella vostra comune e autentica riconoscenza verso la vita.

Le mani in tasca, ti avvicini all’orto, cammini tra le zolle, dentro le sue perfette geometrie, soppesi e apprezzi la fatica e la passione di chi ti vive accanto da una vita, e qui ha affondato le mani e se le è sporcate di terra, per raggiungere una compiutezza che non è solo ordine, ma ai tuoi occhi e alla tua distratta contemplazione è quasi prodigio. Muovi i passi con cautela in mezzo alle foglie generose di lattuga, all’impalcatura rigida del cavolo nero, ai cespuglietti di carote e ai ciuffi di prezzemolo: sei uscita senza cesto, ma stai facendo raccolta. Una raccolta di sensazioni sconosciuta alle definizioni: tocchi e suggestioni che, appena arrivate, si sono già dileguate perché la mente vaga, accalappiata da qualcos’altro.
Ora, ad esempio, dal rapido volo di una coppia di tortore, per nulla infastidite dalla tua presenza, pronte a tuffarsi al di là della rete con il chiaro obiettivo di rimediare qualche chicco dentro il pollaio. A questo punto cerchi con lo sguardo anche il merlo che da anni ha dimestichezza con il prato, e continui ad immaginare essere sempre quello attribuendogli una vita longeva; la mattina arriva disinvolto, sfoderando la sua elegante livrea: di solito sei tu ad allontanarti per non disturbarlo.

L’armonia di questo primo mattino è dentro la tua svagata contemplazione, è racchiusa nella ragnatela da evitare con rispetto, intravvista solo perché folgorata dal primo raggio di sole, lo stesso che ti porta un inaspettato calore tra le scapole.

E’ la nuvola di passeri che, al tuo passaggio, abbandona stropicciando le frasche del carpino ed il
fluttuare elegante delle foglie del salice pronte a compiacere ed assecondare la brezza leggera.
E’ l’accettazione delle tue e delle umane fragilità, al ricordo di una poesia su una povera foglia frale, quando ne sfiori una, umida e lucente, sull’albero di faggio, al centro del prato.

E, mentre ritorni sui tuoi passi, è l’incantato e rinnovato stupore dentro il profumo della pioggia caduta la notte e ad effluvi che dall’orto si svincolano e si spargono, mischiati e confusi nell’aria promettente del mattino.

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