Uno scopo da raggiungere

Credere nei sogni, alla base dei cartoni giapponesi

C’è un elemento comune a tutte le serie animate giapponesi, sia pure con qualche variante: il protagonista – animale o essere umano non importa – ha uno scopo da raggiungere. In alcuni casi gli è stato affidato, in altri se l’è affibbiato da solo. Gli anime in sostanza raccontano proprio il percorso compiuto per raggiungere tale obiettivo: sconfiggere un nemico; conquistare un ambito trofeo sportivo; diventare il migliore nel proprio campo; ritrovare una persona amata (madre, padre, sorella, fratello, fidanzato/a) oppure un oggetto particolarmente prezioso o importante; raggiungere la felicità. Si tratta, insomma, di coronare un sogno. E il prezzo da pagare per riuscirci non ha alcuna importanza.

Nel film L’Arcadia della mia giovinezza, il padre di Capitan Harlock afferma: «Se tu continuerai a credere nei tuoi sogni, niente sarà stato fatto invano». Il pugile Rocky Joe arriva a sacrificare la vita per realizzare il proprio: diventare campione del mondo. Dopo l’ultimo incontro, perso con onore, si siede al proprio angolo per non rialzarsi più.

 

Un avvenimento funzionale

Nei cartoni animati giapponesi la morte è un avvenimento funzionale. Non è mai inutile: serve da esempio, da monito, da sprone. Difficile che qualcuno muoia per nulla. Si soccombe sempre in difesa di qualcosa o qualcuno: un ideale, un principio, una persona amata. Quante volte di fronte all’altruismo di chi ha dato la vita per gli altri, si sentono frasi come: «facciamo in modo che il suo sacrificio non sia/non sia stato inutile». La morte, insomma, è una libera scelta.

Secondo i giapponesi esiste una sorgente energetica insita nell’essere umano: si chiama kiai, parola che deriva dall’unione di ki («mente», «spirito», «volontà») e ai («unione»). È la forza che spinge una persona a compiere un’azione con la ferrea intenzione di portarla fino in fondo. È la molla da cui prendono le mosse le storie di molte serie.

 

Il fallimento negli anime

Il fallimento è previsto. Non è detto, infatti, che si riesca a raggiungere il traguardo prefissato. L’importante è perdere con onore: impegnandosi al massimo delle proprie forze, e riconoscendo la propria sconfitta. Cercare di prevalere a ogni costo è una vittoria peggiore di un insuccesso. Anche l’impazienza può essere deleteria: spesso si manca il bersaglio per la fretta di fare centro. Bisogna portare a termine un compito senza curarci più di tanto del tempo necessario.

Joe Hyams, nel saggio Lo Zen e le arti marziali, sostiene infatti che «concedersi il tempo necessario per raggiungere una meta significa darsi da fare senza mai arrendersi, senza stabilire la durata massima dello sforzo». Le scadenze troppo rigide sono controproducenti: la smania – o l’ossessione – di riuscire rappresenta un ostacolo non da poco.

I personaggi dei cartoni animati giapponesi sfoggiano comunque una pazienza invidiabile. E sono quasi tutti giovani o giovanissimi. Soltanto loro hanno le capacità e lo spirito di sacrificio necessari a compiere imprese impossibili, perché non sono influenzati dai pregiudizi che frenano le azioni degli adulti. Finiscono per mettersi continuamente in discussione, il che li rende figure dinamiche e oltremodo complesse. Cercano in tutti i modi di dare un senso alla loro esistenza. Ma trovare il proprio posto nel mondo non è uno scherzo. È cercando di realizzare i sogni che si superano le avversità. Le risorse per portare avanti questo processo di maturazione vanno ovviamente cercate dentro se stessi.

 

Il principio che anima i cartoni animati giapponesi

Ormai è chiaro quale sia il principio che ispira queste serie animate: non esiste azione senza uno scopo. Ognuno tende a un obiettivo ben definito, in virtù di una volontà di acciaio inossidabile, capace di spazzare via ogni ostacolo. Nel romanzo di Yukio Mishima Il sapore della gloria, un padre rivolge al figlio queste parole: «Ragazzo, lo scopo della vita non è roba che ci diano gli altri, bisogna conquistarselo con le proprie forze».

Per raggiungere il proprio obiettivo, i protagonisti dei cartoni animati giapponesi possono contare su tre armi formidabili: determinazione, tenacia, ostinazione. Niente riesce a fermarli. Passano quasi indenni attraverso una serie impressionante di contrattempi e disgrazie che stroncherebbero un toro.

La perseveranza con cui si dedicano alla loro missione può essere indicata con la parola shunen, mentre di essi si può dire che sono shunen-bukai (vale a dire, pieni di shunen), oppure shunen no hito (uomo che ha shunen). La fermezza nel perseguire uno scopo, di qualunque tipo esso sia, viene reso dal termine giapponese i. Questa semplice vocale, come scrive Dave Lowry nel suo saggio Lo spirito delle arti marziali, «indica una risoluta determinazione, un impegno a svolgere il percorso di un’azione. […] Si può manifestare, se le circostanze lo richiedono, in una completa passività o nelle azioni più estreme. Si tratta di una risolutezza inarrestabile, la determinazione a proseguire sul proprio sentiero».

Tutto questo rientra nei principi che ispirano la condotta degli antichi guerrieri giapponesi. Il samurai Shiba Yoshimasa sostiene infatti che «solo raramente le cose riescono bene, ma con la tenacia si sarà in grado di eguagliare gli altri in queste attività, e ciò dovrebbe essere considerato di valore».

Come accade spesso nelle fiabe, i protagonisti degli anime debbono abbandonare la propria casa e viaggiare. Altro mezzo per concretizzare l’obiettivo che si sono prefissati non c’è. Sanshiro Kurenai cerca l’uomo che ha ucciso suo padre (Judo Boy). Lulù viene mandata allo sbaraglio, in compagnia di due animali magici, per trovare il leggendario “Fiore dai sette colori” (Lulù l’angelo tra i fiori). Durante il cammino, Sanshiro e Lulù visitano luoghi sconosciuti, incontrano nuovi amici, affrontano innumerevoli ostacoli. Il viaggio assume una forte valenza simbolica, in quanto rappresenta il processo di crescita e maturazione che ognuno di loro si trova a dover affrontare per arrivare all’età adulta.

Il che comporta anche il confronto/scontro, con l’Altro da sé, inteso come catalizzatore della propria evoluzione personale. Amico o avversario, poco importa. Perché se si propone come nemico, opporsi a lui per conoscere se stessi permette di sfuggire all’omologazione e all’appiattimento. Per prepararsi alla conseguente integrazione nel tessuto sociale.

Commenti