Sai boxare da campione, grande Rocky Joe

Quello che noi conosciamo come Rocky Joe, protagonista di una serie 79 episodi, in realtà si chiama Joe Yabuki. Il Rocky se l’è inventato la distribuzione italiana, forse per sfruttare il successo del pugile interpretato da Stallone. Anche il titolo è stato taroccato. Non è “Rocky Joe”, bensì “Ashita no Joe”, che tradotto alla lettera suona “Joe del domani”.


Joe del domani

rocky-joeNon è cattivo, ma è un mezzo balordo. Un emarginato orbo di entrambi i genitori. Uno che le regole non le accetta di buon grado (dalla vita io lo so, non accetti neanche un no). La vita lo ha sempre pigliato a calci nelle chiappe. Lo sport diventa ancora una volta l’occasione per riscattare il proprio vissuto e migliorare una posizione sociale “a rischio”. È abituato a lottare: sa bene che nessuno gli regalerà mai niente. E lui non ha la minima intenzione di arrendersi (lotti e non ti arrendi mai, proprio come un samurai). Il futuro che sta cercando di costruirsi comporta sacrifici durissimi. La cosa non pare spaventarlo: ha un sogno e intende realizzarlo a qualunque costo. Purtroppo non c’è alcun domani, per lui. Tanto meno, un lieto fine.

Si è già capito che la vicenda concede poco spazio alla spensieratezza e all’aspetto ludico dello sport. Ogni match è un’autentica battaglia, durante la quale i due contendenti danno il massimo, comportandosi come se dall’esito dell’incontro dipendessero le loro stesse vite.

Un percorso in salita

Joe non si appassiona subito alla boxe. Vive di espedienti e tira a campare. Poi incontra lo “Zio Frank”, vale a dire Frank Miller, un ex pugile privo di un occhio. Nemmeno lui è messo tanto bene. È soltanto l’ombra del grande atleta di un tempo. Però gli è rimasto il fiuto. Capisce subito che il ragazzo ha grandi potenzialità, e decide di aiutarlo a coltivare il proprio talento. Gli propone quindi di farsi allenare da lui. Dapprima, Joe non vuole saperne. Poi accetta.

Il vecchio cambia vita. Smette di bere, e lavora come un mulo per guadagnare e mantenere entrambi. Per lui, Joe è come un figlio, ma il ragazzo se ne approfitta. E prende una brutta strada. Furti, truffe, bravate varie. Frank non ci sta. Denuncia il suo pupillo, che finisce in riformatorio. E lì comincia il suo riscatto. Oltre a smussare il proprio carattere, impara il pugilato per corrispondenza. L’ex pugile, infatti, gli invia periodicamente delle cartoline sulle quali trascrive i principi della boxe.

Nel frattempo, Joe conosce Toro Riki, un pugile professionista che assomiglia parecchio (troppo, forse) a Sylvester Stallone, e diventa il suo grande amico-rivale. I due si allenano duramente. E si affrontano. Prima in carcere. Lì ha la meglio Joe, che intanto lavora su una tecnica efficace ma estremamente pericolosa per chi la subisce. Una volta usciti dal riformatorio, cominciano a fare carriera. Rocky è forte e ha talento. Non tarda a farsi un nome.

La crisi di Rocky Joe

È inevitabile scontrarsi di nuovo con Toro. Questa volta, l’occasione è un incontro ufficiale, che assume proporzioni epiche. Si lotta a tutto campo. I contendenti non si risparmiano, come è giusto che sia. Ma il Destino s’immischia. E il match prende una direzione imprevista. Toro ci resta secco. Il colpo segreto di Joe gli è fatale.

Per il protagonista è una bella sberla. Si sente responsabile e sviluppa una sorta di “allergia”. Da quel momento non riesce più a colpire qualcuno al viso. Ogni volta che lo fa, vomita anche l’anima. È crisi. Profonda e lacerante. Scappa. Dallo Zio Frank. Dagli amici. Comincia a vagabondare senza una meta. Di lui si perdono le tracce. In apparenza, è finita qui.

rocky-joe-bisInvece no. La storia riprende nel 1980 con altri 47 episodi, 12 dei quali utilizzati per ricapitolare quanto accaduto nel 1971. Dopo un anno, Joe torna sul ring. Sembra lo stesso, ma lo Zio Frank si accorge che qualcosa in lui è cambiato. Negli incontri che sostiene non colpisce mai gli avversari al volto. La ragione è semplice: se lo facesse, vomiterebbe. Nella sua mente si è creato un blocco psicologico. Non basta: data la sua forza, nessun pugile sembra disposto ad affrontarlo. Non vogliono mica lasciarci la pelle come Toro. La situazione è critica. Tanto che lo zio Frank pensa addirittura di chiudere la palestra.

La crisi, però, non è destinata a durare. Il sesto pugile più forte al mondo, il venezuelano Carlos Ribera, chiede e ottiene di avere Joe come sparring partner. A quanto pare, il ragazzo è l’unico che non abbia paura di lui. La bella Alex, manager di Carlos e amica del protagonista, non è molto d’accordo. Teme per la vita del proprio assistito. Difficile darle torto. Ma tutto fila liscio. I due si affrontano nel corso di uno spettacolare match che finisce in parità, e diventano amici. Il blocco si scioglie. Joe è tornato. Si è rialzato per la seconda volta.

Verso l’ultimo incontro

Non passa molto tempo che al pugile venezuelano si presenta l’occasione di tutta una vita: sfidare il messicano José Mendoza, campione del mondo della sua categoria. Ma il sogno s’infrange dopo appena un minuto e mezzo. Carlos vola giù come un tordo. E la sconfitta ha conseguenze serie: il ragazzo rimane offeso. Viene ricoverato in ospedale, dal quale fugge facendo perdere le proprie tracce.

Nel frattempo, le cose sembrano mettersi bene, per Joe. Alex diventa la sua manager. Inizia la marcia di avvicinamento a Mendoza. Gli avversari diventano sempre più forti, ma lui non si impressiona. Battendo l’implacabile e insensibile Max Ryan – soprannominato Killer Machine, per la delicatezza delle sue maniere – conquista il titolo di campione asiatico. Ora si sente pronto a combattere contro Mendoza. Deve farlo, per vendicare le condizioni dell’amico Carlos.

Lo Zio Frank e Alex, però, non sono molto d’accordo. Secondo loro, Joe non è più lo stesso. In particolare, il vecchio pensa che abbia contratto la sindrome del pugile ubriaco come conseguenza degli scontri avuti fino a quel momento. Allora gli pone una condizione: vuoi affrontare il campione del mondo? Allora prima devi sostenere un incontro con il pugile che ti diciamo io e Alex. La scelta cade su un certo Arimao, proveniente dal Sud-Est asiatico. Strano tipo: somiglia più a una scimmia che a un uomo e non segue alcuna regola. Il match è durissimo, ma l’esito, in fondo, è scontato.

Colpo di scena: alla fine ricompare Carlos. Non è un bello spettacolo. Ha un’aria stranita da drogato, con gli occhi a mezz’asta, e non riesce nemmeno a fare i gesti più semplici. Sono i sintomi dell’encefalopatia. Joe si rende conto di averla pure lui, quando non riesce ad abbottonare la camicia dell’amico. Però non dice nulla. Potrebbero impedirgli di disputare l’Incontro Decisivo.

Arriva il Gran Giorno. Non è una passeggiata. Mendoza si aggiudica i primi round. Joe subisce un colpo all’occhio destro, e perde parzialmente la vista. Però non molla. Anzi: si riprende e sconfigge il suo avversario con un ultimo, disperato colpo. Dopo di che, dichiara il proprio amore ad Alex.

Questa, però, è la conclusione della versione italiana. Quella originale è diversa. È possibile vederla nel film “L’ultimo round”, distribuito dalla Yamato Video. Il titolo, purtroppo, è piuttosto chiaro. Joe stende Mendoza con quel poco di energia che gli era rimasta. Lo riduce male, però non vince. Confessa ad Alex di amarla. Siede al proprio angolo, e muore. In silenzio. Senza tanti strepiti o scene. Di fronte a un pubblico allibito e allo stupore dello Zio Frank.

Il finale è terribile, forse per la malinconia che ne traspare. Eppure Joe non è triste. Muore serenamente. Si è sottoposto a sacrifici incredibili: allenamenti estenuanti, perdita di peso, incontri durissimi. È andato avanti nonostante seri problemi fisici. Ma la sua sconfitta non è disonorevole. Ha dato il massimo. E ha vissuto come voleva, senza rimpianti, credendo in un sogno. E, come dice il padre di Capitan Harlock nel film “L’Arcadia della mia giovinezza”, «Se tu continuerai a credere nei tuoi sogni, niente nella tua vita sarà mai stato fatto invano».

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