“Da qui ho un posto comodo” (Chiaredizioni 2017) è la seconda silloge del poeta siciliano Andrea Magno. Decine di poesie dissertano di carità, eros e abbandono giocando sugli incisi e sui sottintesi.
Che cos’è Da qui ho un posto comodo.
L’indice di questa raccolta di poesie è lungo cinque pagine.
Più che un elenco di titoli è un palesarsi dell’inseguimento di parole, parentesi e doppi sensi che ci aspetta nelle poesie stesse, come anticipano anche solo i nomi “Ammal(i)ato”, “(Im)perfetto sospetto”, “Chi-amo te”.
Si tratta di componimenti che discutono di presenza e di assenza, che amano e odiano il silenzio, cercano e rifiutano il contatto della pelle; evocano a più riprese le parole primavera, pietà, tempo.
Recensione
Una volta ho sentito dire, di un autore, che aveva un rapporto carnale con il foglio. L’espressione mi colpì e mi è riaffiorata alla mente leggendo la raccolta di poesie di Andrea Magno “Da qui ho un posto comodo”. Il corpo è presente con tutto il suo peso e viene nominato senza veli negli abbracci, nelle lacrime e nelle sue parti più degne. Come nota il prefattore Enrico Nascimbeni, cantautore e scrittore scomparso a giugno 2019, “il poeta, per dire culo, scrive culo”. E la decisione potrebbe disturbare, se non si pensasse al profumo delle zagare, alla ferocia degli ultimi baci e al rullo dei tamburi cantati tra le pagine. A come, quindi, la poesia di Andrea Magno sia portata a mordere la vita con tutti i sensi, tuttavia chiedendo affrancamento e temendo, allo stesso tempo, estraniamento. Invischiate fra il “Panta rei” e le “Convergenze”, le sue parole afferrano “desideri come i tuoi fianchi”.
“perché nessuna ombra
rifugge mai destino,
anche scegliendo accuratamente
a quale sole sottrarsi”
“Il guardare è la prima forma di sensualità”, è stato puntualizzato in marzo 2019 in occasione della
presentazione della silloge a Pescara presso la Scuola di scrittura Macondo, insieme alla poetessa Daniela D’Alimonte.
In viaggio fra le carezze e le loro negazioni, il poeta rivolge sempre, immancabilmente un pensiero alla sua Sicilia, che sente dentro di sè forte e lontana.
Dalle sue parole emerge una terra assuefatta “al vuoto a perdere / di una bella inutile vita”, con dei lati oscuri che da dentro non si possono raccontare e da fuori si vedono male. E nel nome mafia riconosciamo l’“esitante intuizione / del provocare facendone arte, ma senza prendere parte”.