Gaiking il robot guerriero: brutto e imbranato

Gaiking il robot guerriero (in originale Daiku Maryu Gaiking) è una delle robe più brutte che io abbia mai visto. Ed è una di quelle serie robotiche – come per esempio Mazinga Zeta, Space Robot, Jet Robot e Gackeen il robot magnetico – non trasmesse per intero dalla televisione italiana. Ci si è fermati a quota 26 episodi. In realtà ce ne sono altri 18, che per l’edizione in VHS e DVD sono stati dotati di un nuovo doppiaggio.


Robot brutto e pilota imbranato

Pur essendo un robottone componibile, il Gaiking costituisce un’eccezione alla regola. Lo guida un solo pilota: Sanshiro Tsubabaki. La squadra c’è lo stesso, ma non ha nulla a che fare con il suo assemblaggio del robottone. Più che altro, interviene a sostegno del protagonista. Perché l’eroe non è invincibile: in battaglia ha sempre bisogno di aiuto. È questo, forse, a renderlo umano. E Sanshiro, da quel che si vede, è proprio uno dei più imbranati.

I nemici del Gaiking

L’invasore proviene dallo spazio. Gli abitanti del pianeta Zela – che conoscono bene la Terra, avendola colonizzata in passato (hanno addirittura sottomesso i Maya) – sono nei pasticci. Il loro mondo, «situato nell’atmosfera Sigma della Galassia del Cigno», sta per essere inghiottito da un buco nero, che ne ha devastato la superficie, provocando numerose vittime. Per fortuna, come illustra la voce narrante, «non tutta la popolazione di Zela morì. Alcuni riuscirono a salvarsi, rifugiandosi nelle profondità della terra». I superstiti crearono «un dio onnipotente sperando che egli potesse salvarli: è Darius il Grande. Tuttavia, egli non è altro che un dio robot senza un cuore umano».
Cominciano a venerarlo, appunto, come un dio, prendendo per oro colato tutto quello che fa e dice. Da lui si aspettano una soluzione. L’androide ne approfitta subito. Adotta metodi violenti. Opprime il popolo che crede in lui, arruolandolo a forza. Chiunque cerchi di ostacolarlo finisce male. La sua ricetta è semplice: sterminare l’umanità e occupare la Terra, che presenta le stesse caratteristiche ambientali possedute un tempo da Zela.
Per raggiungere tale scopo, crea il proprio esercito personale, che chiama l’Armata dell’Orrore Nero. In più, si costruisce degli aiutanti: «i quattro Re Malvagi», cui affida la conduzione della guerra. Sono subalterni atipici. Contrariamente a quanto avviene di solito, non litigano tra loro e non si mettono i bastoni tra le ruote. Al contrario: ogni decisione è presa collegialmente. Prima di ogni missione, s’incontrano a bordo delle loro astronavi, formando una figura detta “croce mortale”. I loro caratteri sono complementari: Ashmov è freddo e cinico; Dankel è un abile stratega; Killer è quello irruento; Desmon unisce impeto e pacatezza. Tutti e quattro seguono scrupolosamente le disposizioni del loro superiore.

Sanshiro, il pilota del Gaiking

Sebbene siano all’oscuro dei progetti di Darius, i terrestri si attrezzano per contrastare eventuali attacchi da parte di alieni mal disposti. Il Dottor Daimoni, scienziato giapponese, viene incaricato di progettare i mezzi tecnologici necessari. Costruisce il Drago Spaziale, un’enorme astronave a forma di drago, nonché tre veicoli adatti a combattere in cielo (Skyler), in terra (Buzzler) e in mare (Nessac). Ognuno di essi ricorda nell’aspetto un animale: pterodattilo, triceratopo e dinosauro acquatico. Dopo di che, si mette alla ricerca dei piloti, che devono obbligatoriamente possedere capacità ESP. In caso contrario, non potrebbero utilizzare al meglio i tre apparecchi.
Il tassello mancante è proprio Sanshiro, un dotatissimo lanciatore di baseball che milita in serie B, reso famoso dal micidiale “tiro magico” da lui inventato. Ignora di possedere straordinari poteri. Ignora pure la minaccia incombente sulla Terra. Il classico esempio di eroe coinvolto suo malgrado in qualcosa più grande di lui. Il suo sogno è giocare in serie A. Purtroppo non potrà realizzarlo. Gli Uomini Uccello di Zela lo raggiungono per ucciderlo. Darius crede, infatti, nella prevenzione, e commissiona la morte di chiunque possa dargli fastidio. L’attentato fallisce, ma Sanshiro si ritrova con il polso destro fratturato. Deve abbandonare il baseball. È un brutto colpo, per lui. Deve rinunciare ai suoi sogni e intraprendere un cammino diverso da quello che aveva immaginato. La mancanza di scelta è una condizione comune a molti personaggi, costretti dalle circostanze a improvvisarsi paladini della giustizia. Anche perché soltanto loro possiedono le attitudini necessarie a contrastare il nemico di turno.
A ogni modo, il Dottor Daimoni lo salva, poi gli spiega la situazione. Lui è l’unico in grado di pilotare il Gaiking. All’inizio, Sanshiro rifiuta di collaborare. È ancora sotto shock per quanto gli è accaduto. Inoltre non nutre alcuna fiducia nelle capacità che gli attribuiscono. Però impiega poco a cambiare idea. E accetta di sottoporsi a un durissimo allenamento il cui scopo è permettergli di padroneggiare i suoi incredibili poteri.
La formazione del robottone è semplice: la testa del Drago Spaziale costituisce il corpo, cui si uniscono le braccia e le gambe, lanciate dall’astronave. Terminata la procedura la base unisce il collo alla coda, chiudendosi in posizione di difesa. C’è una lieve incongruenza, oltretutto. La testa del Drago ha due enormi corna. Sono le stesse che ritroviamo sulla capoccia del robot. Soltanto che appaiono più piccole, quindi non proporzionate. Non si capisce quale sia il meccanismo che ne riduce le dimensioni.

Un finale convenzionale

L’andamento della vicenda è quello solito. In ogni episodio, il nemico elabora un piano che viene immancabilmente scoperto. Scende in campo il mostro nemico – qui chiamato Mostro Nero – il cui aspetto ricorda sempre un animale, reale o immaginario che sia. Il loro mecha design lascia a desiderare proprio come quello del robottone. Il quale non possiede un attacco finale. Si limita a impiegare a rotazione le sue armi più potenti. Le più utilizzate sono: Raggio perforante, Scossa mortale, Idrorazzo, i cui nomi cambiano di continuo. A esse ne vengono gradualmente aggiunte altre: il Raggio facciale e l’Astrorazzo (o Miracle Drill).
Il finale propone l’ennesima battaglia decisiva, quella da cui dipendono le sorti dell’umanità. Darius stringe i tempi. Dato che il buco nero sta per ingoiare il suo pianeta, chiama la popolazione a una mobilitazione generale contro la Terra, che intende conquistare con la forza. Gli abitanti di Zela, però, si ribellano. Aprono (finalmente) gli occhi. In fondo, sono gente pacifica. E comprendono che la creatura da loro costruita non ha fatto altro che trasferire su un altro mondo la distruzione che le avevano chiesto d’impedire. L’androide parte con i quattro Re Malvagi, abbandonando i suoi sudditi al loro destino. Per fortuna, scampano alla morte grazie a un motore gravitazionale costruito in gran segreto da uno scienziato.
Lo scontro decisivo vede la presenza sul campo di tre mostri neri. Si combatte su Marte e sulla Terra. Ashmov, Dankel, Killer e Desmon vengono distrutti con inverosimile facilità. Darius si rivela più coriaceo del previsto, ma Sanshiro lo sconfigge lanciando il suo “tiro magico” con il Gaiking.

La squadra del Gaiking

Sanshiro non è solo. È appoggiato da una squadra. E meno male. Come ho accennato prima, questo è uno dei piloti più imbranati in assoluto. Migliora battaglia dopo battaglia, d’accordo. Ma se non ci fosse il Drago Spaziale, i Mostri Neri lo taglierebbe a fette. E allora vediamoli, questi salvatori, perennemente pronti, se necessario, a sacrificare la vita per la causa e per gli altri.
A capo della baracca c’è il Dottor Daimoni. Non si comporta da capo autoritario. Al contrario. Si è riservato un semplice ruolo di coordinatore. Sa di poter contare su un team affidabile, cui lascia una discreta libertà d’azione. Emerge, però, un dato quanto meno inquietante: si è circondato di gente dal vissuto problematico, per non dire tragico. Non hanno più genitori, né – salvo alcune felici eccezioni – consanguinei al mondo. Per loro, salire su quell’astronave ha significato l’occasione di riscattare gli sbagli commessi in passato.
Apriamo la “rassegna delle disgrazie”. Sakon è il braccio destro di Daimoni. È l’ingegnere capo. Possiede un’intelligenza molto al di sopra della media. A lui si devono invenzioni e migliorie. Però sembra non avere una vita sua: lavora sempre, giorno e notte. S’innamora di una ragazza – una spia di Darius – che poi gli muore quasi tra le braccia. Poi c’è Pete Richardson, l’unico occidentale del gruppo. È americano e pilota il Drago Spaziale. Si becca spesso con Sanshiro, forse per la legge secondo cui due galli in un pollaio sono francamente troppi. Sta di fatto che i suoi modi attirano davvero le sberle. Il suo atteggiamento freddo e indisponente lo fa sembrare un presuntuoso. In realtà, gli spigoli del suo carattere servono a celare una profonda sofferenza. Lo rivela in un episodio Tom, il fratello minore: «La gente dice che ha il cuore di ghiaccio, ma io so che non è vero». Vive per riscattare il comportamento sconsiderato del padre, ufficiale americano che ha provocato un incidente nel quale hanno perso la vita lui, la moglie e altre persone. Il disonore, purtroppo, si tramanda di generazione in generazione, e rimediarvi non è mai semplice. Per fortuna non ha soltanto difetti. Possiede anche le qualità caratteristiche di un vero samurai: l’affidabilità, la padronanza di sé nei momenti critici e, quindi, la capacità di adattarsi ad ogni circostanza, specie se sfavorevole. Alla fine, lui e Sanshiro diventeranno amici.
Il destino non è stato tenero nemmeno con Fan Li, pilota dello Skyler. Dopo un’infanzia disastrosa, si dà al teppismo. L’occasione per uscirne gli viene fornita dal kickboxing, di cui è campione mondiale. Nello sport trova quella disciplina di cui aveva bisogno per dare un ordine alla propria vita. In battaglia segue senza discutere le disposizioni di Daimoni. Forse perché grazie a lui la sua esistenza ha nuovamente un senso. Discorso simile per Yamatake, responsabile del Buzzler. Per poter sopravvivere, ricorre al borseggio da strada. Anche nel suo caso, il riscatto passa per l’attività sportiva: data la sua mole massiccia, pratica il sumo. Si distingue per l’estrema disponibilità in battaglia e nella vita di tutti i giorni. È il giullare della squadra e ha un debole per Midori, l’unica donna a bordo dell’astronave. Sfortunatamente per lui, deve fronteggiare la concorrenza di Sanshiro e Pete. Bunta Hayami, invece, pilota del Nessac, non sembra aver avuto una vita granché difficile. Anche lui sfoggia un passato da sportivo: è un ottimo nuotatore. È un uomo che non ama le luci della ribalta. Preferisce rimanere dietro le quinte. I suoi “colleghi” sanno, però, di poter sempre contare su di lui.
Midori è l’unico membro femminile dell’equipaggio. È l’ufficiale addetto alle comunicazioni. In realtà è un’aliena. Il suo vero nome è Green. Pijon, il suo mondo, ha fatto la stessa fine di Zela. Per evitare l’estinzione, la sua razza è fuggita alla ricerca di una nuova patria, lasciando un esemplare della propria specie su ogni pianeta visitato. Lei finisce sulla Terra. È ancora una bambina, e il trauma dell’abbandono è tale da provocarle un’amnesia. Per sua fortuna incontra Daimoni, che se ne prende cura, avendo l’accortezza di tenerne segrete le origini. Nell’episodio numero 16 viene contattata telepaticamente dalla madre. I suoi simili hanno finalmente trovato un luogo in cui vivere e la invitano a raggiungerli. Ma lei, pur soffrendo, sceglie di rimanere a bordo del Drago Spaziale insieme ai suoi compagni d’avventura. Chiudiamo con l’immancabile moccioso. Si chiama Hachiro e lavora nella cambusa. Vorrebbe combattere i nemici in prima linea, e qualche contributo riesce anche a darlo. Stabilisce un legame particolare con Sanshiro, che considera una specie di fratello maggiore.
Il centro di questo anime non sono le motivazioni dell’invasore alieno, equamente suddivise fra necessità e ambizione. La vicenda prende avvio da una macchina che sfugge al controllo dei suoi creatori, tradendo le finalità per le quali era stata concepita. È una situazione narrativa piuttosto frequente. L’uomo è avvisato: guai ad avere la presunzione di volersi sostituire alla divinità. Un’eccessiva fiducia nella tecnologia può ingarbugliare la matassa, anziché dipanarla.

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