“Il detective Kindaichi” – Yokomizo Seishi


Voto: 5 stelle / 5

“Il detective Kindaichi” è un giallo di Yokomizo Seishi pubblicato per la prima volta nel 1946, edito da Sellerio nel 2019. Dello stesso autore abbiamo recensito anche il racconto “L’Orchidea nera“.

È un super classico di fama internazionale in cui debutta il detective del titolo: giovane, ironico e balbuziente. Propone un doppio enigma della camera chiusa.

Trama di Il detective Kindaichi

Seppellire un animale d’affezione in giardino non è inconsueto e nemmeno funesto. In determinate circostanze, però, può acquistare un’aria sinistra.

Se l’animale è un gatto e l’inumazione avviene nello stesso giorno di un matrimonio. Se la prima notte di nozze si consuma una tragedia e nei giorni a seguire compare un fantasma sulla tomba del gatto. Soprattutto se siamo in Giappone, dove il felino è legato a pratiche scaramantiche plurisecolari. Ma procediamo con ordine.

In un piccolo villaggio incuneato tra monti e risaie si erge un edificio del periodo shogunale. È l’imponente dimora della famiglia più facoltosa, costituita dai discendenti di un’illustre casata di proprietari terrieri. Al suo interno nell’autunno del 1937 viene celebrata una cerimonia nuziale intima e veloce, secondo il rito shintoista. Lo sposo, infatti, è l’erede della casata. La sposa è figlia di un fittavolo. Tale dislivello sociale rappresenta un’eccezione nella società del Sol Levante.

Per la notte viene riservata loro una dépandance immersa nel verde. È qui che alle prime luci di un’alba opaca, dopo una nevicata fuoristagione, i due vengono brutalmente assassinati. A contorno, un misterioso viandante si aggira furtivo nei paraggi.

La polizia locale non riesce a scigliere il nodo gordiano di un caso sempre più contorto. Ci vorrà il detective privato Kindaichi per smantellare con nonchalance la dinamica omicidiaria stabilita dagli inquirenti.

Recensione

Yokomizo Seishi costruisce un noir raffinato impreziosito dalla traduzione di Francesco Vitucci. La narrazione procede in un’atmosfera sdoppiata. Nella prima parte, infatti, aleggiano richiami simbolici e suggestioni sovrannaturali. Il rosso dell’alcova. Il bianco della sposa e della neve. Il suono spettrale di un koto nero. Oscure presenze presso la tomba del gatto.

La seconda parte, invece, risponde all’esigenza di spiegare in chiave razionale il “caso del koto stregato”.

Alcuni considerano “Il detective Kindaichi” un noir datato e troppo macchinoso. Non sono d’accordo per la presenza di spunti che appartengono alla letteratura contemporanea.

L’esplicito invito al lettore a formulare ipotesi con una partecipazione attiva. Per questo l’autore inserisce la planimetria della dépandance. E, nemmeno tanto sottotraccia, l’invito a gareggiare con il detective in curiosità investigativa. Che dire, inoltre, dell’autopsia psicologica delle vittime? E di un risvolto metanarrativo?

Quanto alla macchinosità, preciso che l’enigma della stanza chiusa è ingegnoso per sua natura. Il lettore ama le sfide impossibili.

Penso che questo romanzo piaccia soprattutto agli estimatori della cultura del Sol Levante.

Perché la vicenda è profondamente giapponese. Non solo per il cromatismo etico, estetico e simbolico. E nemmeno per la grazia spartana da teatro No di alcuni personaggi. Ma per il profondo senso del lignaggio e dell’onore.

Commenti