“Il morso del varano” – William Bavone


Voto: 4 stelle / 5

La macchina della giustizia ha un funzionamento farraginoso e imprevedibile che spesso non lascia indenne nemmeno chi esce vincitore. Poi ci sono le vittime dei cosiddetti danni collaterali segnate da cicatrici indelebili. Questo spunto è al centro ne Il morso del varano. La prima indagine di Nico De Luca” un revenge thriller a firma William Bavone (Newton Compton Editori 2024, 256 p.). Ringraziamo la casa editrice per la copia digitale ricevuta in omaggio.

Classe 1982, l’autore è salentino di nascita e parmense d’adozione. Laureato in Economia, al suo attivo vanta saggi di geopolitica con una predilezione per l’America latina, novelle per bambini, racconti e romanzi. “Il morso del varano” è la prima collaborazione con la Newton Compton.

Trama di Il morso del varano

L’accumulo di soprammobili, che un ordine maniacale cristallizza nello spazio, dà a molte abitazioni una patina di vecchio inconfondibile, perché accompagnata dall’odore del tempo. Una sensazione analoga di vecchio investe l’ispettore Nico De Luca mentre varca la soglia dell’appartamento della vittima, un giudice in pensione trovato in camera da letto con la gola tagliata. Le confidenze della moglie ne tracciano un profilo sommario. Si era occupato di affidi minorili, cause patrimoniali, coltivando ambizioni politiche nei giri che contano, ambienti dove è facile farsi dei nemici. L’indagine si preannuncia delicata perché gli scenari possibili sembrano condurre all’enclave degli intoccabili e a quella rete di relazioni, favoritismi, segreti, corruttele pericolose e potenti. All’orizzonte si profila una bella rogna per il protagonista.

Mentre le forze dell’ordine sono in alto mare alla ricerca di una pista da far filtrare alla stampa, viene trovato il cadavere di un ex carabiniere. Travolta dallo tsunami di una furia cieca, la scena del crimine fa pensare a una rapina senza senso. Parallelamente seguiamo la discesa agli inferi dell’assassino – di cui ignoriamo l’identità – che parte da lontano e ci inghiotte in atmosfere deviate e angoscianti dove passato e presente tendono a confondersi. È urticante, elettrico, “Un fiume che esonda energia” e con la stessa facilità si prosciuga. Sarà una telecamera di sorveglianza a dare la prima svolta alle indagini. Il tempo stringe, perché gli omicidi continuano e il loro sadismo pure, spingendo l’ispettore a giocare da battitore libero per giungere alla verità.

Sul fronte personale è impegnato in una difficile convivenza con la nipote Giulia, persa a rincorrere i suoi guai piuttosto che pensare al futuro. I tre (l’uomo di legge, la giovane e il villain) un punto in comune ce l’hanno: sono emotivamente fermi a una fase della loro esistenza che continua a manifestarsi attraverso sentieri tortuosi. Il loro nemico è la rabbia, quell’emozione “capace di disarcionare un individuo dal suo stesso carattere”.

In un epilogo che sembrava già scritto, la scoperta dell’assassino è una bella giravolta.

Recensione

L’autore sceglie Bologna, una delle ambientazioni più battute dal poliziesco italiano dopo l’exploit nel 1997 di “Almost blue” di Carlo Lucarelli. Però a conti fatti il capoluogo emiliano è il grande assente. A parte una sosta sui colli che non si vedono, uno sguardo alla basilica di San Luca e alla Torre degli Asinelli antropomorfizzate dalla consuetudine, la città felsinea di William Bavone è fatta di interni anonimi o opprimenti, uffici illividiti da luci al neon, stanze per gli interrogatori di un grigio piatto come il clima tardo autunnale che soffoca la vicenda. Per il commissario di origini salentine, Bologna resta un luogo di passaggio dove non è necessario mettere radici.

Aveva scelto a malincuore di andare via per permettere alla sua ambizione di fiorire

 Una tappa, la sua, che dura da vent’anni. Ma la vera casa non siamo noi stessi ovunque andiamo? È questo insegnamento paterno a frullargli in testa. Ha lasciato alle spalle le origini, è sceso a patti con la vita, prossimo alla cinquantina continua ad essere sospeso nel limbo di un bilocale in una città che non sente sua. L’ombra dell’incompletezza accompagna Nico De Luca, inchiodato a un lavoro che non gli consente una vita privata ma lo fa sentire meno solo. E questa ombra fa di lui un personaggio chiaroscurale, incisivo, in una parola riuscito nella sua normalità.

Il lessico si raccoglie sulla contrapposizione tra caldo e freddo in senso climatico, percettivo, simbolico, una scelta che dà carattere alla scrittura.

“Il morso del varano” di William Bavone racconta una brutta storia di prede e predatori di una catena alimentare su cui grava l’amarezza di quanto la legge sia  “Spettatrice dell’interpretazione del momento”. Sottotraccia scorre ambiguo il paradigma dello specchio, duplicatore delle nostre oscurità e mezzo per prenderne le distanze. Ci rende spettatori e protagonisti di uno spettacolo allestito da un ego che pretende di aggiustare l’universo. Nel panorama editoriale moltissimi si cimentano nel giallo: quanti commissari ci sono? Tra i nuovi che hanno un perché c’è Nico De Luca.

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