Il Regno d’Argento della principessa Zaffiro

La principessa Zaffiro: il capostipite dei shōjo anime

Pare che La principessa Zaffiro (Ribbon no Kishi), del 1967, sia stato il primo shōjo anime, vale a dire la prima serie animata giapponese con protagonista femminile. Zaffiro, insomma, è stata l’antenata. La capostipite. Quella che ha spianato la strada alle altre. Colei da cui “tutto ebbe inizio”.

C’è dell’altro. Il primo shōjo è una favola. Una narrazione, cioè, priva di coordinate spazio-temporali precise. Forse l’autore – Osamu Tezuka, soprannominato “dio degli anime” – ha voluto essere prudente. In fondo si tratta di un esperimento. Ha scelto un luogo generico e inesistente: il reame di Silverland, la Terra d’Argento. È là fuori, da qualche parte. Confina con altre terre immaginarie, che non possiamo ricondurre ad alcuna geografia conosciuta.

Il tempo è sottratto al fluire della Storia. Siamo nel c’era una volta. Il che, se vogliamo, ci richiama alla memoria la Bibbia, dove l’indicazione cronologica più rigorosa è espressa dalla formula A quel tempo. L’ambientazione è, insomma, volutamente indeterminata. Non si può definirla occidentale, e tanto meno giapponese. È fiabesca, ecco. E basta.

 

Dura lex sed lex

Il pretesto narrativo da cui prende avvio la vicenda è piuttosto semplice. Il sesso di ogni futuro bambino dipende dal cuore che riceve in dono dagli angeli del cielo. A seconda del tipo, si ha un maschio, oppure una femmina. Per colpa dell’indisciplinato e maldestro angelo Chip, alla protagonista, destinata a nascere come ragazza, viene assegnato un cuore maschile. Due al prezzo di uno, insomma.

Bisogna rimediare: Chip riceve direttamente da Dio l’incarico di sistemare le cose. Trasformato in bambino vestito di verde, deve convincere la principessa Zaffiro a indossare abiti femminili e a comportarsi da come è in realtà (cioè donna). L’impresa è meno semplice del previsto. La legge del regno di Silverland impone che possa succedere al trono soltanto un erede maschio. Il successore c’è, ma del sesso sbagliato. I genitori decidono allora di impartire alla piccola una duplice educazione.

Arrivata all’età di 15 anni, la fanciulla si sente probabilmente un po’ schizofrenica: in privato si comporta da donna, mentre in pubblico deve fare l’uomo. Eppure si vede che Zaffiro è una lei: la delicatezza dei lineamenti, gli occhioni bovini, le lunghe ciglia, niente affatto virili… Sarebbe legittimo pensare che i sudditi siano o tutti orbi o tutti deficienti.

Uno che conosce la verità c’è. È il Granduca Geralamon, cugino del re. Se riuscisse a smascherare la cuginetta, potrebbe piazzare sul trono il figlio Plastic, inetto e bruttarello, di cui si servirebbe come marionetta per fare i comodi suoi. Non ci viene detto, però, come abbia scoperto il segreto della ragazza.

Fermiamoci per un momento. Riassumiamo. Possiamo affermare che il primo shōjo anime è una favola costruita sull’ambiguità sessuale, o, se si preferisce, sul travestitismo. È una situazione che ritroviamo spesso. Donne che fingono d’essere uomini – e viceversa – per necessità, per educazione, per inclinazione o altro. Ci si concentra non tanto sulle apparenze, quanto sulle loro cause.

Zaffiro è circondata. Da una parte, Chip che vuole costringerla a comportarsi da dolce fanciulla. Dall’altra, il Granduca Geralamon che le sguinzaglia dietro il Barone Nylon. Costui, uno spilungone idiota dal naso interminabile, ha l’incarico di sorvegliarla, nella speranza di prenderla in castagna. Ci si mette pure Satana, il cui scopo è prendere il cuore alla principessa per donarlo alla figlia Zelda, che in questo modo diventerebbe una grande strega. La pargola, però, non vuole. Troppo diversa dal genitore: bella, dolce e gentile. L’intervento del Signore degli Inferi crea ulteriore confusione. Secondo lui, Zaffiro ha un cuore maschile per un errore che il paradiso commette ogni duemila anni. Potrebbe anche farne a meno: se glielo togliessero, infatti, non morirebbe, ma diventerebbe una donna (come se già non la fosse). Come si vede, le informazioni fornite allo spettatore nei primi sei episodi sono quanto meno contraddittorie. Colpa degli sceneggiatori. O di un doppiaggio approssimativo. Fatto sta che uno non sa cosa pensare.

La principessa Zaffiro, comunque, non ha paura. È una tosta. Non sarà facile avere ragione di lei. Tanto più che ha piena fiducia in se stessa: «Riuscirò a sbarazzarmi dei miei nemici con le mie forze», sostiene. Dichiarazione in linea con la forma mentis dei personaggi che popolano gli anime giapponesi, abituati a cavarsela da soli in ogni circostanza.

 

Una serie divisa in due parti

La serie può essere divisa in due parti. Nella prima, lo schema di ciascun episodio è molto semplice: i nemici della protagonista cercano in tutti i modi di rendere pubblico il suo segreto o di ucciderla. Ma lei riesce sempre a salvarsi in corner. Per fortuna può contare su un gradito alleato: il principe Franco, futuro sovrano del Regno di Goldland. A lui, che compare per la prima volta nell’episodio numero 4, deve dirlo per forza, che è una donna. Anche perché diventa il suo fidanzato.

Nella seconda parte, gli eventi precipitano. E deve essere così, altrimenti non ci sarebbe alcuna storia da raccontare. Il giorno dell’incoronazione di Zaffiro, si scoprono gli altarini. Geralamon inserisce nel bicchiere della regina una sostanza di quelle che sciolgono la lingua. E la donna, dopo il brindisi, si lascia scappare la verità sulla figlia. Il Granduca fa arrestare la fanciulla, e propone come erede al trono quel minorato del figlio Plastic. Il popolo, deluso dal comportamento della famiglia reale, non può che acclamarlo, ma solo perché non c’è niente di meglio.

Zaffiro viene condotta alla Torre della Bara, una specie di catapecchia, dove è costretta a condurre un’esistenza dura e priva di comodità. In attesa di tempi migliori, conduce la sua personale battaglia contro le ingiustizie nei panni del misterioso Cavaliere col Fiocco. Nessuno è a conoscenza di questo nuovo travestimento, tranne Franco. A lui ha dovuto rivelarsi, perché il ragazzo era geloso marcio del suo alter ego.

Il momento difficile passa perché il Re suo padre cambia la legge. Questo scombina i piani di Geralamon, ben lontano dal rassegnarsi. Tanto è vero che stringe alleanza con il Cavaliere X, un tizio dall’armatura nera (del quale non vedremo mai il reale aspetto) che sbuca dal nulla, fermamente intenzionato a conquistare i regni di Silverland e Goldland.

Il nuovo nemico è più forte del previsto. Ed è specializzato in colpi bassi. Ci rimettono la pelle i genitori di Zaffiro e – addirittura – Satana e consorte, i quali si sacrificano per salvare l’amatissima figlia Zelda. Ma il vero coup de théâtre è l’assassinio di Geralamon per mano di Nylon, dal quale nessuno si sarebbe aspettato un simile tradimento. Commesso il misfatto, lo spilungone si propone quale interlocutore privilegiato del Cavaliere X, che però lo manda a quel paese: anche la malvagità esige un minimo sindacale d’onore. Penserà Franco a portare il Barone alla follia, con uno stratagemma psicologico.

Lieto fine fiabesco, ma improbabile perfino per una favola. Innazitutto, X viene sconfitto. Il che è cosa buona. Non altrettanto che Chip sia moribondo. Per modo di dire, ovvio: muore come essere umano, ma torna in paradiso come angelo. Chiede un solo favore a Dio: di poter resuscitare i genitori di Zaffiro. Detto fatto. Una carrozza scende dal cielo e ne escono il re e la regina. La ragazza, indossato un vestito vaporoso e – finalmente – femminile, se ne va incontro al suo amato principe. L’ammore trionfa. L’inverosimiglianza pure.

 

Sigla completa de La principessa Zaffiro

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