Ebrei charedi, ebrei ultraortodossi, quelli con la kippah e i payot (i boccoli laterali), che vivono a Mea Shearim, il quartiere a loro dedicato nella città di Gerusalemme. Forse qualcuno li conosce grazie alle miniserie tv “Unorthodox”. In “Io sono del mio amato” di Annik Emdin (Astoria 2020) la storia è leggermente diversa, è una narrazione che si concentra maggiormente sui legami familiari attraverso nonno Chaim e l’adorato nipote Levi, attraverso la Storia degli ebrei e di Israele. Ringraziamo la casa editrice per la copia digitale inviata in omaggio.
Trama di Io sono del mio amato
In “Io sono del mio amato” Chaim è il capostipite charedi della famiglia Kogan, uomo orgoglioso dal passato complesso, figura imponente ed ingombrante, mentre Levi è un ragazzo che vuole emanciparsi, che vuole essere “normale”, altrettanto testardo quanto il nonno.
Recensione
Annick Emdin racconta una storia d’amore, ma non nel senso rosa del termine, certo, a margine c’è l’amore di Levi per una ragazza soldato israeliana che potrebbe diventare qualsiasi cosa tranne una charedi.
È un amore a più livelli: l’amore perso e ritrovato per il Signore, l’amore verso Israele, l’amore per la famiglia, in una narrazione parallela tra il passato di Chaim durante la seconda guerra mondiale e il presente di Levi, in una Gerusalemme degli anni ‘90, minacciata dagli attacchi terroristici palestinesi.
C’è il confronto tra un passato ed un presente che non si conoscono tra loro, ma che noi lettori scopriamo somigliarsi più di quanto si possa immaginare. Ci sono scontri e fratture, ci sono cerchi che si chiudono, rigidi precetti che si tramandano, regole che si infrangono, identità che si ricompongono.
“Pensò al Signore. Esisteva il Signore? Se esisteva, come aveva potuto permettere tutto questo? Perché uno doveva passare la vita a pregare il Signore e a seguire in suoi comandamenti se poi esistevano posti come Auschwitz?” (Chaim)
Emdin, oltre a scrivere, è anche una giovane sceneggiatrice e regista teatrale e mostra di saper dosare perfettamente gli ingredienti per non rendere la storia esageratamente drammatica, gioca con l’ironia, creando personaggi dalle mille sfaccettature, che riescono a far sorridere e a commuovere.
La sua scrittura è veloce ed incisiva: le immagini che crea con le parole non hanno bisogno di pizzi e merletti, in poche righe crea e distrugge, facendo arrivare le emozioni necessarie.
Per me una interessante scoperta.
Chiara Carnio