“L’inverno del nostro scontento” (1961) è l’ultimo romanzo che John Steinbeck scrisse prima del Nobel della Letteratura e della sua morte (1968).
La trama di L’inverno del nostro scontento
Forse influenzato da una predizione fortunata che gli annuncia l’arrivo di denaro, Ethan sta pianificando un modo per impossessarsi del negozio per cui lavora per soddisfare quelle aspettative che vogliono vederlo di nuovo in alto nella scala sociale. È disposto anche a organizzare una rapina. Poi il destino ci mette lo zampino…
Recensione
Soldi chiamano altri soldi, affermano i personaggi di John Steinbeck in “L’inverno del nostro scontento”. Pubblicato nel 1961, è l’ultimo romanzo prima del premio Nobel per la Letteratura che gli viene conferito nel 1962. Il titolo cita un passaggio del Riccardo III di William Shakespeare:
“Ora l’inverno del nostro scontento
è reso estate gloriosa da questo sole di York”.
La riflessione portata avanti è tutta incentrata sulla moralità. Cosa siamo disposti a fare per raggiungere uno status sociale? E quanto c’è da perdere, quanto da vincere? È giusto schiacciare gli altri, è giusto copiare, tradire? Lo scontento di cui parla l’autore è un ammalarsi di qualcosa che si sedimenta. Non pensare a un problema non aiuta, dice, e quando queste preoccupazioni si stratificano escono fuori in disagio e scontento e diventano una condizione esistenziale.
“Vivere significa portare una cicatrice”
Uno dei passaggi che ho preferito è stato il leitmotiv sull’onestà. Il protagonista si rifiuta di accettare un tentativo di corruzione e allora il suo padrone comincia a guardarlo in modo strano, perché se Ethan non fa parte della banda dei disonesti, di quale banda fa parte, allora? Questa riflessione viene riproposta spesso.
Di questo libro, scelto dal gruppo Facebook Book Club Italia come lettura condivisa di gennaio, posso dire che ho apprezzato l’ironia e l’acume nel descrivere i personaggi. Vorrei fargli più complimenti, ma purtroppo devono esserci state delle scene in cui mi sono distratta e mi sono ritrovata a non orientarmi più nella trama, a non capire le reazioni dei personaggi fra i tanti dialoghi e a non cogliere bene il quadro d’insieme. Inoltre si passa più di una volta dalla narrazione dalla prima persona singolare alla terza e viceversa, e non ho capito bene perché. Senza parlare del finale, di cui mi sarei dovuta andare a cercare il senso su Wikipedia, se non me lo avesse spiegato la prefazione dell’edizione Oscar Mondadori 1986 che ho preso in biblioteca (traduzione di Luciano Bianciardi)
“Il denaro non cura la malattia, solo i sintomi”
L’ultima volta che mi sono sentita così disorientata stavo leggendo Raymond Chandler. Però devo dire che, a differenza di Chandler, queste perplessità non sono bastate a scoraggiarmi e John Steinbeck è un autore che senz’altro riprenderò in considerazione, forse per via di un colpo di scena, cinico e decisivo come il più delle volte è la vita, che mi ha fatto pensare a “L’esclusa” di Pirandello, quando il riscatto arriva un attimo troppo tardi.