L’invincibile Zambot 3: il dramma di una guerra sporca

“L’invincibile Zambot 3” (cioè “Muteki Chojin Zanbot 3”) conta “soltanto” 23 episodi che però lasciano il segno. Anche se rimane il rammarico per un’animazione spesso non all’altezza della storia. Una cosa balza subito all’occhio: nonostante alcune gag divertenti, la serie si distingue rispetto a quelle che la precedono e a quelle che la seguono per la tragicità della vicenda. Il lieto fine, qui, non esiste. La vittoria finale è pagata a caro prezzo. La ferocia degli avversari raggiunge livelli fino a questo momento impensati: pur di conquistare il nostro pianeta, non esitano a trasformare i terrestri in bombe umane. I colpi bassi, insomma, abbondano.


Una serie molto drammatica

Tra tutte le guerre di vario genere descritte nei cartoni animati giapponesi dell’epoca, questa è senza dubbio la più sporca. Coinvolge tutti, senza distinzioni, né privilegi. In un tripudio di multiformi brutalità. Che non risparmiano nemmeno chi pilota lo Zambot 3, risultante dalla combinazione di tre navicelle: Zam-Bird (che, grazie al comando vocale Ace Change, può trasformarsi nello Zambot Ace, un piccolo robot dotato di una sola arma: la pistola Zambot Magnum), Zam-Bull e Zam-Base. Le guidano, rispettivamente, i tre cuginetti Kappei, Uchuta e Keiko. Sono forse i piloti più giovani tra quelli che affollano le serie robotiche. Hanno dai quattordici ai sedici anni, e si ritrovano invischiati in una situazione molto più grande di loro. Sono stati addestrati a combattere tramite un’apparecchiatura ipnotica che agiva durante il sonno.

Il leader è Kappei, adolescente indisciplinato e ribelle. Agisce di testa propria e usa lo Zambot Ace come un grosso giocattolo. All’inizio rifiuta addirittura di cooperare con gli altri due piloti. Provocando la durissima reazione del fratello maggiore Ichitaro: «non serve un guerriero che si rifiuta di cooperare con gli altri». Finirà comunque per piegarsi alla logica del gruppo. Il suo antagonista è Uchuta, un sedicenne scontroso che lo provoca di continuo. Sopporta malvolentieri che a capo della squadra ci sia il cugino, di due anni più giovane. Per fortuna c’è anche Keiko, una ragazzina dai lunghi capelli biondi, pacata e matura.
Zambot 3 si fa sospirare, ma non troppo. Prima di vederlo in azione, dobbiamo aspettare fino al terzo episodio. I tre fanciulli, infatti, non sanno come unire le navicelle. Per fortuna Ichitaro scopre la procedura d’aggancio, attivata dal comando Combination in.

Quanto al mecha design, riproduce con impressionante fedeltà gli elementi principali dell’armatura di un samurai. Poche le armi. La maggior parte di esse viene ottenuta combinando in diversi modi le due spade in dotazione allo Zambot. Però c’è un attacco finale: lo Zambot Moon Attack. Per dare il colpo di grazia al mostro nemico – che si chiama Mechaburst – il robottone assume una posa plastica. Dopo di che, dalla mezzaluna posta sul suo elmo parte una piccola luna gialla che ruota intorno all’avversario prima di trapassarlo da parte a parte. Segue esplosione. Viene utilizzato per la prima volta nel quarto episodio. Non sempre conclude il combattimento e non sempre è efficace.

Una famiglia di alieni

Se l’anime avesse per sottotitolo “Una questione di famiglia”, non ci sarebbe niente da ridire. I protagonisti appartengono, infatti, alla famiglia Jin, composta da tre nuclei completi, a capo dei quali troviamo un scienziato anziano e sua moglie.
Provengono tutti dalla stella Biar, distrutta a suo tempo dai Gaizok. Vivono sul nostro pianeta da circa duecento anni. Hanno avuto modo di integrarsi e conducono un’esistenza tranquilla. Che non dura a lungo. I loro nemici raggiungono la Terra, impegnati come sono a perseguire un obiettivo tanto semplice quanto efferato: eliminare tutte le forme di vita dell’universo. Una cosa che, oltretutto, riescono a fare piuttosto bene.
Sono organizzati secondo una struttura gerarchica elementare che prevede un capo, Gaizok, e un luogotenente, Killer The Butcher, la cui onomastica non lascia adito a dubbi. Quando arriva in prossimità del nostro pianeta, esclama compiaciuto: «Che bello, tante creature da uccidere!».
Per contrastare la minaccia incombente bisogna utilizzare la base spaziale spaziale King Biar – composta dalle tre astronavi Biar 1, Biar 2 e Biar 3 – e i tre veicoli che compongono il robot Zambot 3. Tutta roba che gli antenati dei protagonisti hanno lasciato sulla Terra a titolo precauzionale, perché certe cose si sentono fin dentro le viscere.
Lo spettatore si accorge subito che questa serie robotica è radicalmente diversa dalle precedenti. I protagonisti si ritrovano, infatti, con due nemici al prezzo di uno: le armate di Gaizok… e i terrestri. I quali ritengono che la responsabilità della guerra e delle distruzioni da essa provocate vada sbolognata per intero alle tre famiglie aliene. Stabilendo in questo modo un rapporto causa-effetto aberrante, del tipo: se non ci fossero, non ci sarebbero nemmeno gli invasori.
È per questo motivo che ricorrono a una mossa molto stupida: permettere ai Gaizok di atterrare sul nostro pianeta con la loro base Bandok. Il governo giapponese cerca di intavolare dei negoziati di pace. Che, ovviamente, non portano a nulla. Per fortuna, il Primo Ministro comprende la vera natura degli invasori. I quali, dall’episodio 16, se ne inventano una davvero atroce. Prendono un bel gruppo di persone, e le trasformano in «bombe-uomo». L’ordigno, molto potente, viene inserito nella schiena delle vittime e innescato da una forte emozione: panico, paura, sorpresa; o da Killer The Butcher, avendo cura di scegliere il momento meno opportuno. Quando accade, sul corpo dell’ospite appare una stella luminosa. Dopo di che, boom. Così muore Aki, la “fidanzatina” di Kappei.

Una conclusione tragica

I terrestri si rendono conto di avere agito con leggerezza. Le atrocità commesse dagli invasori hanno lasciato il segno. Kappei e i suoi ne escono riabilitati, e rinfrancati. Dal quindicesimo episodio possono addirittura contare sull’aiuto delle Nazioni Unite. Adesso hanno un solo nemico da affrontare, il che non è poco. La base dei Gaizok lascia la Terra. Lo scontro si sposta nello spazio. King Biar e Zambot 3 partono all’inseguimento.
La battaglia finale è preceduta da uno dei soliti colpi di scena. Si scopre che, in realtà, Killer The Butcher è un cyborg. Lo comanda a distanza il Supremo Gaizok, una creatura a forma di occhio. Altra sorpresa: non è un essere vivente, bensì un supercomputer dell’ottava generazione costruito dagli abitanti di Gaizok e creato, come dice lui stesso, «per individuare e interagire con ogni creatura animata da cattivi propositi. E a causa del male che stava oscurando le loro anime, ho dovuto terminare gli abitanti del vostro pianeta Biar. Fatto ciò, i miei sensori sono rimasti inattivi per oltre trecento anni. Nel mio continuo errare tra i piani astrali, ho incrociato l’orbita di un pianeta colmo di malvagità. Quel pianeta era la Terra».
Il nostro mondo diventa insomma oggetto di una bella epurazione in grande stile. La situazione è simile a quella di “Gaiking il robot guerriero”. Anche lì, infatti, la molla narrativa della vicenda è una macchina impazzita, che interpreta con eccessiva intransigenza le disposizioni ricevute. L’intelligenza artificiale prende il sopravvento, dimostrando d’avere una sorprendente autonomia di giudizio, sebbene deviata.
La conclusione di questo anime è di una drammaticità più unica che rara. Nello spazio si verifica una vera e propria ecatombe. Le perdite tra le fila dei buoni sono ingenti. Oltre a Kappei, si salvano in pochissimi: giusto le donne e i bambini, preventivamente messi in salvo. Per gli altri non c’è scampo. Muoiono perfino Uchuta e Keiko. Lo Zambot è ormai inservibile: ha perso gambe e braccia. I due staccano le rispettive navicelle dalla Combination In e si lanciano in un attacco suicida contro il nemico.
Al suo ritorno sulla Terra, la popolazione acclama Kappei come vincitore e ne riconosce finalmente il coraggio. Per il ragazzo si tratta di una consolazione magra, dato che ha visto morire tutti i suoi cari. Ma dovrà accontentarsi.
“L’invincibile Zambot 3” è una serie “anomala”. Non tanto e non solo per la giovane età dei piloti o per l’atmosfera “pesante” che vi si respira. A sorprendere è soprattutto il clima d’ostilità nel quale i protagonisti sono costretti a vivere. Forse per la prima volta gli eroi non sono riconosciuti come tali da chi ha bisogno della loro protezione. Al contrario. L’accento viene posto sulla loro diversità. Sono alieni, quindi non bisogna fidarsi. La guerra è colpa loro. I terrestri finiscono per legittimare l’intransigenza dei Gaizok, ottusamente impegnati nella loro missione di eliminazione delle razze ritenute indegne di vivere.
Questo cartone animato è pervaso dall’idea della morte come libera scelta del guerriero. È la legge del Bushidō, il codice d’onore dei samurai: la scelta fra vita e morte. Perché è il samurai a stabilire il momento in cui morire. E lo fa nella maniera più spettacolare e valorosa possibile, proponendosi quale memorabile esempio da seguire. Il padre, gli zii, il fratello e i cugini di Kappei si sacrificano per un ideale, il bene della comunità. E lo fanno contro tutto e contro tutti. Perché questo è il loro destino. Se non combattessero loro, nessun altro potrebbe farlo.

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