“I ladri” – Ennio Flaiano

Anche il grande Ennio Flaiano ha scritto qualche mini-racconto.

Quello che intendo analizzare s’intitola “I ladri” e si trova alle pagine 591-592 del volume “Opere. Scritti postumi” pubblicato nel 1988 da Bompiani.

Su Ennio Flaiano abbiamo anche recensito “Il mio Flaiano. Un satiro malinconico“.


Il racconto de I ladri

Quando i ladri presero la città, il popolo fu contento, fece vacanza e bei fuochi d’artifizio. La cacciata dei briganti autorizzava ogni ottimismo e i ladri, come primo atto del loro governo riaffermarono il diritto di proprietà. Questo rassicurò i proprietari più autorevoli. Su tutti i muri scrissero: «Il furto è una proprietà» Leggi severe contro il furto vennero emanate e applicate. A un tagliaborse fu tagliata la mano destra, a un baro la mano sinistra (che serve per tenere le carte), a un ladro di cappelli la testa. Poi si sparse la voce che i ladri rubavano. Dapprincipio, questa voce parve una trovata della propaganda avversaria e fu respinta con sdegno.

I ladri stessi ne sorridevano e ritennero inutile ogni smentita ufficiale. Tutto parlava in loro favore, erano stimati per gente dabbene, patriottica, ladra, onesta, religiosa. Ora, insinuare che i ladri fossero ladri sembrò assurdo. Il tempo trascorse, i furti aumentavano, un anno dopo erano già imponenti e si vide che non era possibile farli senza l’aiuto di una grossa organizzazione. E si capì che i ladri avevano quest’organizzazione. Una mattina, per esempio ci si accorgeva che era scomparso un palazzo del centro della città. Nessuno sapeva darne notizia. Poi sparirono piazze, alberi, monumenti, gallerie coi loro quadri e le loro statue, officine coi loro operai treni coi loro viaggiatori, intere aziende, piccole città. La stampa, dapprima timida, insorse: sparirono allora i giornali coi loro redattori e anche gli strilloni, e quando i ladri ebbero fatto sparire ogni cosa, cominciarono a derubarsi tra di loro e la cosa continuò finché non furono derubati dai loro figli e dai loro nipotini. Ma vissero sempre felici e contenti.

Nota. I compilatori di un libro di lettura per le scuole elementari mi avevano chiesto una favola arguta per bambini dai sette ai dieci anni. Ho inviato loto questa favola, l’hanno respinta cortesemente, dicendo che «non era adatta». Forse non è una favola arguta. O forse non è nemmeno una favola.

Una provocazione

L’autore stesso, come si può vedere, lo ha definito favola arguta. Il che, conoscendo Flaiano, rappresenta una provocazione. La favola, si sa, è una narrazione a carattere fantastico che spesso contiene una morale, un insegnamento da applicare al proprio vivere quotidiano. Mentre l’aggettivo arguto allude a qualcosa di sottile e di penetrante, accezioni che possono sicuramente essere applicati allo scrittore abruzzese.

Ora, I ladri tutto è fuor che una favola. Ma allora cos’è? Un’allegoria no di sicuro, perché qui di significati nascosti non c’è l’ombra. E c’è ben poco da leggere fra le righe. Nemmeno si tratta d’una metafora, visto che, pur non alludendo a nessuna nazione in particolare, quanto viene raffigurato presenta una certa concretezza. Nel senso che racconta eventi in qualche modo verificabili. Ecco, potrebbe essere una parodia, o meglio l’estremizzazione di una situazione.

copertina del libro da cui è tratto il mini-racconto di ennio flaiano

Analisi della “favola arguta”

I ladri conquistano una città sui generis – se ne tace il nome perché, a conti fatti, non è importante individuarla – cacciando i briganti. Il che sa di paradosso: come dire, un farabutto che caccia un malandrino. Popolazione e proprietari fan festa. Poi scatta la parodia: il governo dei ladri legifera contro il furto. Flaiano parodizza, o meglio rovescia, il motto che rese celebre il francese Pierre-Joseph Proudhon. Da La proprietà è un furto si passa a Il furto è una proprietà. In questo modo, si crea una situazione dal sapore pirandelliano. I ladri, la cui ragion d’essere è rubare, legiferano contro il furto e si propongono come persone oneste. Nessuno pensa che possano rubare. Eppure i furti aumentano, e sono loro a organizzarli. Fino a che il serpente finisce per mordersi la coda.

Gli intenti satirici di questa favola arguta – che oltretutto si conclude con la chiusa favolistica tipica: Ma vissero sempre felici e contenti (attenti a quel ma, che non è messo a caso) – sono fin troppo evidenti. Ricordiamoci che fu proprio Flaiano a dichiarare nel 1954 che la situazione in Italia è grave ma non è seria.

Il colpo di grazia lo infligge comunque nella Nota, dove in pratica racconta come e perché I ladri è stata scritta. Lasciamo perdere che sia più o meno adatta a un libro di letture per le scuole elementari. Quel che conta sono le ultime due frasi: Forse non è una favola arguta. O forse non è nemmeno una favola. Come volevasi dimostrare.

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