Giorgio Manganelli: uno scrittore inclassificabile
Potremmo considerare Giorgio Manganelli uno scrittore inclassificabile. Uno di quelli cui non si sa quale etichetta appiccicare. Perché non si capisce a quale eventuale movimento letterario appartenga, né quale sia il genere a lui ascrivibile. E questa sua “non posizione”, per come la vedo io, è ciò che lo rende unico e interessante.
I “romanzi fiume” di Manganelli
Nel 1979 Rizzoli pubblica Centuria. Cento piccoli romanzi fiume. Si tratta di cento racconti brevi che non vanno oltre la cartella dattiloscritta (anzi, si fermano prima). Lui, però, li definisce «cento piccoli romanzi fiume», sostenendo che sono «così lavorati in modi anamorfici, da apparire al lettore frettoloso testi di poche e scarne righe».
Cento illusioni ottiche. Cento storie magistralmente distorte. Riconoscibili soltanto se guardate da una posizione precisa. Che potrebbe non essere quella dell’autore.
Il romanzo numero 34
Questa è l’illusione numero 34:
Costui è veramente un abitudinario. Veste sempre, da sempre, quale ora lo vedete, un completo grigio: ha tre vestiti identici, che indossa a turno. Ha tre paia di guanti scuri, tre paia di cappelli. Si sveglia alle sette meno cinque, si alza alle sette. Custodiscono l’esattezza del suo risveglio tre sveglie sincronizzate, e ricondotte all’ora di Greenwich; altre tre sveglie sono costantemente affidate alle cure di un unico orologiaio, del tutto consapevole della gravità del suo compito. Alle otto è pronto per uscire. Un cammino di trenta minuti lo separa dal suo posto di lavoro: ha rinunciato a servirsi di mezzi pubblici, a causa della loro imprevedibile inesattezza. Alle cinque e quarantacinque è nuovamente a casa. Riposa trenta minuti. Non legge né libri né giornali, che egli considera depositi di inesattezze. Mangia sobriamente; è astemio. Cammina per un’ora, in casa o attorno casa, a seconda del tempo.
La prima parte del fiume-bonsai si riduce a un freddo elenco di operazioni semplici e abitudinarie. Manganelli visualizza un individuo senza nome. Uno che ha fatto dell’abitudine la propria religione personale. Ogni suo gesto è calibrato con precisione, e raggiunge una perfezione meccanica nella sua ossessiva ripetizione, fino ad rivestirsi di forti valenze rituali. Enfatizzate oltretutto dalla costante presenza del numero tre, la cifra liturgica per eccellenza.
Le frasi utilizzate sono brevi e puntuali. Contengono solo l’essenziale. L’autore le accosta le une alle altre con finta noncuranza. Lo scopo è ottenere un senso di piatta monotonia.
Detesta il tempo, e lo considera un segno della fondamentale inesattezza dell’universo. Rifiuta vento o pioggia. Alle dieci e trenta si corica. A quel punto, una fiera lotta si scatena in quest’uomo fermo e pacato; infatti, egli detesta i sogni. Talora sogna di morire, di venire ucciso, e se ne rallegra, giacché, suppone che venga in quel modo punito e distrutto l’io dei sogni. Si allena a dimenticare i sogni, a persuadersi che non esistono. Tuttavia, appunto il fatto che non esistono, ma hanno forma, lo turba profondamente. Anche il non essere è capace di disordine.
C’è un però. Quest’uomo, questo individuo morbosamente metodico – definito fermo e pacato − teme sopra ogni altra cosa l’irrazionale, o meglio l’inesattezza e il disordine. Tanto è vero che rifiuta vento o pioggia. E pure i sogni, che secondo lui non esistono.
Nel suo quotidiano tragitto egli esegue quello che chiama un “esercizio spirituale”; esso consiste nella limitazione del mondo ad un itinerario angusto, nel cui ambito sempre meno possa accadere. Questo “esercizio” in realtà nasconde un disegno più sottile, pervicace e sapiente. Egli vuole fare del suo itinerario,della sua casa un luogo unico, centrale all’ordine del mondo. Vuole che il suo passo sia il pendolo esatto del mondo. Egli è convinto che il mondo non sia in grado di tener testa alla sua esattezza. Pertanto, egli è giunto a coltivare una ambizione anche più temeraria. Un giorno egli eseguirà un gesto inesatto, incompatibile col mondo; e questo, egli sa, verrà lacerato e disperso come un vecchio giornale in un giorno di vento. Sul Trono di Dio governerà sul Nulla epurato di sogni l’impiegato di concetto vestito di grigio.
Questa sorta di sacerdote laico che ha elevato una mera routine allo status di credo religioso, mira a imporre all’universo mondo il proprio culto. La sua ambizione è bandire ogni forma di inesattezza e disordine − cioè, come sappiamo, le due cose che più gli fanno paura − per plasmare ogni cosa secondo la sua idea di ordine. Solo che il mondo è inadeguato. Non è alla sua altezza. Per cui ha elaborato quello che ritiene un piano perfetto: distruggerlo tramite un gesto che scateni il caos, e successivamente dominare su quello che resta. Vale a dire, un mondo senza sogni. Grigio come lui.