Analisi “Il cane e la fiala” – Charles Baudelaire

Questo poemetto in prosa di Charles Baudelaire s’intitola Il cane e la fiala, e lo si può leggere a pagina 31 dell’edizione dei poemetti in prosa pubblicata da Longanesi nel 1950.

«Mio bel cane, mio buon cane, mio caro tutù, avvicinati, vieni, senti lo squisito profumo comprato.»

E il cane, dimenando la coda, che è io credo, in queste povere creature, il segno corrispondente al riso e al sorriso, si accosta e curiosamente posa il naso umido sulla fiala aperta; poi, indietreggiando di colpo, spaventato, abbaia contro di me, come rimproverandomi.

«Ah! Miserabile cane, se ti avessi offerto un pacchetto di escrementi lo avresti fiutato con gusto e forse, divorato. Così anche tu, somigli al pubblico, al quale non bisogna mai offrire delicati profumi che l’esasperano, ma spazzatura accuratamente scelta.»


Il cane e il suo padrone

Un uomo sta parlando al proprio cane (il senso del possesso è ribadito non una, bensì tre volte: miomiomio…) in un crescendo di vezzeggiativi: da bello passa a buono fino ad arrivare a caro (con trasfigurazione da cane a tutù). Utilizzando oltretutto quel tono un po’ sciocco e fastidiosamente caricaturale con cui di solito ci si rivolge a bambini e animali.

Vuole invitarlo ad annusare un profumo di cui enfatizza fin troppo l’eccezionalità: non solo è squisito, ma è stato perfino acquistato dal miglior profumiere. Come a dire che di meglio non può esserci proprio nulla.

L’animale si avvicina incuriosito. Il suo comportamento è descritto con molta efficacia: sembra quasi di vederlo mentre va incontro al padrone scodinzolando. Al tempo stesso, però, si avverte quella benevolenza che sa un po’ di compatimento, riservata di solito agli esseri inferiori: essa viene ben espressa dal povere creature del secondo capoverso.

 

poemetto charles baudelaire - il cane e la fialaL’attualità di Charles Baudelaire

Qualcosa non va come sperato. Il cane non gradisce l’essenza. Non solo indietreggia spaventato, ma abbaia contro il padrone, il quale interpreta questa reazione come un rimprovero. Il suo atteggiamento muta radicalmente. Il Mio bel cane, mio buon cane, mio caro tutù diventa adesso un Miserabile cane, oltre che l’indegno compagno della mia triste vita. L’indignazione dell’uomo, in realtà, non è rivolta all’animale, che si rivela essere un mero pretesto per attaccare il pubblico: anche lui, infatti, preferisce gli escrementi ai profumi. Ecco dunque la “morale della favola”: la gente preferisce la robaccia alla qualità.

A parlare è chiaramente lo scrittore. Il quale ha voluto lanciare un’invettiva delle sue, esprimendola sotto forma di parabola. Il cane e la fiala è stato scritto, al pari degli altri poemetti in prosa, fra il 1855 e il 1864. Ma non ha perso per nulla la propria attualità. Purtroppo.

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