Analisi letteraria di un mini-racconto di Stefano Benni

Una raccolta di racconti “sotto il mare”

La raccolta di racconti di Stefano Benni Il bar sotto il mare è stata costruita utilizzando la struttura narrativa denominata “cornice”. La medesima del Decamerone, per intenderci. Chiaramente i risultati non sono gli stessi, ma questo è un altro discorso.

Copertina della raccolta di racconti di Stefano Benni

Una serie di personaggi quanto meno insoliti, compreso l’io narrante, che funge in pratica da collante strutturale, si ritrova in un bar situato, appunto, sotto il mare, e ammantato da un’aura che oscilla tra il fantastico e il mitologico.

Ognuno di essi prende a raccontare una storia di lunghezza e di argomento variabili, la cui impostazione è per lo più umoristica. Le singole narrazioni prevedono la stessa intelaiatura: hanno un narratore ben identificato, un titolo, un’eventuale citazione letteraria, lo svolgimento del racconto.

Gli unici due legami che paiono esistere fra le storie sono il luogo in cui vengono raccontate (il bar del titolo) e la presenza di un ascoltatore, vale a dire l’io narrante della cornice.


Analisi del mini-racconto di Stefano Benni

Quella che mi interessa analizzare è la più breve. Si tratta del racconto della pulce del cane nero, intitolato semplicemente Racconto breve. Subito sotto il titolo, troviamo una citazione da un’opera di Gustave Flaubert: Con quel caldo – trentatré gradi – in boulevard Bourdon non un’anima… Non sembra esservi alcun collegamento tra la frase e quel che segue.

In ogni caso, il Racconto breve è questo:

C’era un uomo che non riusciva mai a terminare le cose che iniziava. Capì che non poteva andare avanti così. Perciò una mattina si alzò e disse:

“Ho preso una decisione: d’ora in poi tutto quello che inizie…”

Manca una volta, ma l’incipit è decisamente favolistico. Stefano Benni qui si mantiene nella classica indeterminatezza biblica: non c’è alcuna indicazione di tempo e di luogo. Perfino il protagonista rimane senza un nome. Viene individuato soltanto attraverso ciò che lo distingue rispetto a tutti gli altri: non riusciva mai a terminare le cose che iniziava. Costui, insomma, è un inconcludente. Ma non sappiamo perché. Lui, però, ne è perfettamente consapevole. Tanto è vero che capisce di non poter continuare così.

Lo schema dei vari passaggi è chiaro: diagnosi (tendenza a non concludere nulla), consapevolezza (sa che deve cambiare questo stato di cose), e buoni propositi. L’uomo che non riusciva mai a terminare le cose che iniziava decide di cambiare. Ma evidentemente, dirlo non gli è sufficiente. Non riesce neppure a concludere la frase che dovrebbe segnare la svolta della propria vita.

La circolarità di questo mini-racconto è evidente: parte dall’incapacità del protagonista a concludere qualsiasi cosa, per ritornare a questa stessa incapacità. Sembra uno di quei serpenti che si mordono la coda. Una storia fondata su un paradosso semplice ma geniale. Capace di lasciare un retrogusto amaro in bocca che non va più via.

 

Stefano Benni, Il bar sotto il mare, Milano, Feltrinelli, 1987.

Commenti