Analisi letteraria di un mini-racconto di Franz Kafka

Egli esce di casa, si trova nella via, un cavallo aspetta, un servitore tiene la staffa, si cavalca attraverso un deserto echeggiante.

copertina di un mini racconto di Franz Kafka

Non sappiamo se questa minuscola narrazione di Franz Kafka abbia un titolo. In ogni caso, è tratta dall’Ottavo quaderno in ottavo (1833-1924). Lo si può leggere a pagina 177 del volume Confessioni e immagini pubblicato nel 1980 dalla Mondadori nella collana I capolavori della Medusa.


Una struttura minima

Siamo davanti a sei frasi che appaiono quasi drastiche, nella loro essenzialità. La struttura è ridotta al minimo: un soggetto più o meno sottinteso, un verbo e un eventuale complemento. Nessun aggettivo, fatta eccezione per l’ultima frase. Come si vede, un periodare incisivo proprio a causa della sua asciuttezza.

Ciascuna proposizione ha l’indifferenza tipica della constatazione: presenta infatti al lettore semplici dati di fatto. Ed è accostata alle altre secondo un procedimento paratattico. In altre parole, hanno tutte la medesima importanza e sono tutte fondamentali ai fini della micro-storia, conferendole un ritmo serrato. Abbiamo parlato di indifferenza. L’autore, in effetti, non partecipa emotivamente allo svolgimento dei fatti. Sceglie la strada di un’apparente impersonalità.

Analisi del mini-racconto di Franz Kafka

Qualcuno esce di casa. Un uomo o forse una donna. Kafka non lo specifica. Questo qualcuno si trova nella via come se ce lo avessero portato. Come se, cioè, il suo non fosse stato un atto volontario. È uscito – o uscita – soltanto per assecondare un impulso dettato dall’inconscio, e quindi privo della consapevolezza che dovrebbe caratterizzare ogni azione umana. Il cavallo che aspetta questo qualcuno è tenuto da un servitore. Potremmo dedurne che il o la protagonista è quanto meno benestante. Il luogo in cui vive potrebbe essere appena fuori del centro abitato, oppure in aperta campagna.

L’ultima frase, come dicevamo, è anche l’unica ad avere un aggettivo, la cui scelta è tutto fuorché casuale. Quell’echeggiante si sposa infatti alla perfezione con il deserto, che potrebbe essere un deserto propriamente detto, oppure un ambiente al tutto privo di persone. Il senso è quello di una desolata e angosciante solitudine, accentuata dal verbo impersonale (si cavalca) e dall’incertezza di non sapere verso cosa stiano cavalcando cavallo e cavaliere.

Ma forse è meglio così. La lettura è un po’ come lo spogliarello. Immaginare dà molta più soddisfazione.

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