“Requiem”- Geir Tangen


Voto: 3.5 stelle / 5

“Requiem” (Maestro) edito da Giunti nel 2017, traduzione di Margherita Podestà Heir, segna l’esordio poliziesco del crime blogger norvegese Geir Tangen. Tradotto in 15 Paesi, è il primo della trilogia di Hangesund seguito da “Oblio” e “Vendetta”.

Trama di Requiem

Finché gli inquirenti non stabiliscono se si tratta di morte naturale o suicidio, ogni decesso è sospetto. Però basta un sopralluogo per capire che la donna sfracellata sull’asfalto, dopo essersi gettata dal balcone del suo appartamento, non ha agito di propria iniziativa. Il tipo di lesioni, l’inaccessibilità del parapetto, l’odore di etere sprigionato da quel che rimane del volto sembrano escludere un gesto volontario.

Ne è certa Lotte Skeisvoll, ispettore capo in una vivace cittadina affacciata sui fiordi norvegesi. Ma è il set del presunto omicidio il suo rovello. Al responsabile non interessa camuffare il proprio operato, vista la leggerezza con cui dissemina tracce e indizi. Troppi per un megalomane deciso a sfidare le forze dell’ordine. Troppi per chi orchestra un depistaggio o un dilettante del crimine.

In questo thriller, dove i dettagli fanno da contrappunto all’ampiezza di un paesaggio aperto sul mare, in una ricomposizione tra piccolo e grande, tutti i personaggi hanno un rovello. A cominciare da Viljar Gudmundsson, il cronista islandese al quale viene affidato l’incarico di scrivere un articolo su ciò che ufficialmente resta una disgrazia.

Il protagonista

È roso dal dubbio che il decesso sia collegato a una mail in cui un sedicente giustiziere gli ha annunciato l’uccisione di una donna. L’uniformità burocratica di un testo senz’anima, il contenuto da giallo di second’ordine lo hanno spinto a non dare peso a una delle tante mail che intasano la posta di un giornalista.

È un uomo sofferente, angustiato dai sensi di colpa per una vicenda che il lettore apprende con il contagocce. Il personaggio rassegnato di Viljar buca lo schermo. Fino a pochi anni prima era una stella nel firmamento della carta stampata grazie a un pezzo bomba di giornalismo d’inchiesta. Ma lo scoop gli ha sottratto in termini di pace interiore e salute ciò che gli ha regalato in prestigio. A distanza di anni è l’ombra di se stesso. Il grintoso reporter dei tempi d’oro scrive articoli monocordi con il pilota automatico e il buio nella mente. Cosa è successo? Questo secondo filone di indagine si impiglia nella rete del fondamentalismo religioso.

In breve le lettere minatorie si moltiplicano, le azioni omicidiarie pure, adese a quanto annunciato dal vendicatore solitario che anticipa via mail le sue mosse. Sono molti gli interrogativi per la coppia investigativa formata da Lotte e Viljar. Una sola certezza: un killer organizzato mette in atto una serie di omicidi attenendosi a un copione maniacale, ne rivendica la legittimità, si erge a paladino della legge e il giornalista in crisi è il suo interlocutore. Forse il vero bersaglio.

Recensione

Geir Tangen mescola vecchio e nuovo. Ricicla il fantomatico giustiziere che avvisa in anticipo la stampa sulla prossima vittima per realizzare un piano delirante. Inserisce sottotraccia spunti sociali, come da tradizione del thriller nordico, ma il protagonista non è il solito ubriacone impenitente anche se è altrettanto stropicciato. Dà un’inclinazione metaletteraria, perché entra quatto quatto nella storia che racconta, si cita, prende per il naso noi e se stesso. Questo basta per riscattare in parte il cliché del vendicatore assetato di giustizia e alcune bordate horror estranee ai miei gusti.

È il sogno di qualunque reporter trovarsi per le mani un killer che usa il giornale come una specie di portavoce. Succede solo nei film e nelle serie televisive. Sembra il copione di un giallo cestinato dalle case editrici e partorito da un autore a corto di idee

Di questo gioco di specchi altro non svelo. “Requiem” mi ha tenuto col fiato sospeso soprattutto a ridosso dell’epilogo con una tripletta di colpi di scena ben riusciti. Quasi quasi leggo “Oblio”.

Isabella Fantin

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