I vincitori non fanno solo la storia, ma la storia della letteratura e, in parte, dell’editoria. Nel nostro Paese lo dimostra il caso del giornalista e scrittore d’oltralpe Robert Brasillach. Intellettuale collaborazionista nella Francia occupata, filotedesco e antisemita, nel 1945 venne condannato alla fucilazione e dal secondo dopoguerra al silenzio della damnatio memoriae. A Settecolori Edizioni il merito di pubblicare per la prima volta in Italia “Sei ore da perdere” (Six heures à perdre), nella traduzione di Alessandro Bernardini, 248 pagine, in libreria da settembre 2023.
Ringraziamo l’agenzia Anna Maria Riva e la casa editrice per la copia cartacea ricevuta in omaggio.
Composto di getto nel 1944 un anno prima della morte, questo romanzo dai contorni noir ha un’eccellente qualità documentaria per l’affresco che ci restituisce di Parigi occupata, la vera protagonista. A incrementare il tasso di coinvolgimento concorre il punto di vista interno: il protagonista è voce narrante e alter-ego dell’autore, trentacinquenne all’epoca della stesura.
Trama di Sei ore da perdere
Generalmente è una figura femminile ad abitare le fantasticherie di un prigioniero di guerra. Quella di Bruno Berthier si chiama Marie-Ange. Ma spetterà all’interprete principale, suo amico ed ex compagno di prigionia, il compito di rintracciarla per sapere di più sul suo conto.
Nell’autunno 1943 alla stazione ferroviaria Gare de Lyon sbarca il tenente Robert B. reduce da una lunga detenzione in Germania. Prima di tornare a casa – Parigi è una tappa – ha sei ore di tempo che sulle prime non sa bene come spendere. Finché per spirito di cameratismo decide di trovare la ragazza che Bruno continua a custodire nel suo cuore, dopo un’avventura in licenza. Alcune testimonianze fanno emergere tasselli e zone d’ombra che arricchiscono le confidenze fatte da Bruno durante la prigionia. Intanto, a seguito di un fatto di sangue che la colloca tra i sospettati, Marie-Ange diventa una Primula Rossa anche per gli inquirenti. Ciò determina uno sdoppiamento dell’indagine tra Robert. B e un laconico ispettore.
Identificazione di una donna
Nel corso delle ricerche si fa largo il profilo di una donna assoluta e contraddittoria, una di quelle che suggeriscono il caldo e il freddo, aspra e infantile, dalla femminilità acerba. Una donna elusiva e pericolosa. Per il ruolo mi sono venute in mente tre attrici. Jeanne Moreau per il corpo esile, una sensualità tragica, la piega amara delle labbra e la voce roca come quella di Marie-Ange, che l’ufficiale riconosce senza averla mai sentita. Annie Girardot, non bella, complessa e sfacciata. Isabelle Huppert dal volto impenetrabile a celare segreti inconfessabili.
Sulle tracce della fuggiasca, l’alter-ego di Brasillach rivede i luoghi della giovinezza, il suo mondo di ieri che stenta a riconoscere. Un automatismo lo spinge a confrontare la capitale francese con quella immaginata in cattività, che stride sia con il ricordo sia con l’oggi. Il risultato è una narrazione sintonizzata sulla frequenza biografica di tre piani temporali e altrettanti luoghi.
C’è il presente di una Parigi allo sbando prosciugata della sua vitalità che Patrick Modiano definisce “un mauvais rêve”. Ci sono i ricordi intrusivi della prigionia. C’è la giovinezza di una generazione nella tempesta, la sua, che si allontana in dissolvenza. E quando l’universo del campo di prigionia ricompare, è la città a sparire perché la memoria segue il senso di marcia di una marea.
Nel finale di partita la giovane vìola la cella monastica della propria interiorità, svelando all’ufficiale i misteri del suo destino fino all’incontro con Bruno Berthier. La confessione permette al protagonista di toccare con mano quella Francia ignorata durante l’esilio che sopravvive tra miseria e ricchezza, contrabbando, speculazione, mercato nero, corruzione, denunce, spaccature politiche. In preda al disordine morale. Robert. B. non giudica, non condanna, immerso nella categoria sfuggente della contemporaneità dove per il futuro non c’è spazio. E lo dichiara. Una volta a casa, lo accompagneranno nuovi, ingombranti ricordi e una disperata malinconia.
Recensione
La consapevolezza indirizza la sua traversata parigina fino al faccia a faccia con la donna del mistero e sé stesso:
“So bene che soltanto nelle prossime settimane mi accorgerò del fossato che quaranta mesi hanno scavato tra me e i miei contemporanei: al rientro mi sono accorto delle cose più comuni. Ma domani comincerà il paziente confronto e reimparerò il piacere e l’esistenza quotidiana“
Il fatto che siano le immagini a scandire la narrazione non sorprende. Brasillach fu storico e critico cinematografico di vaglia. Scrisse una “Storia del cinema” (Histoire du cinéma), testo pionieristico che ha mantenuto intatto il suo smalto.
La prosa di “Sei ore da perdere” è penetrante e sostenuta senza ampollosità. Medita sulla giovinezza, il solo paradiso terrestre e sulla ruota del tempo temi cari all’autore. Si interroga sulle illusioni infrante dall’esperienza. Scava nell’esistenza collettiva di una città occupata. Si incunea nelle ambiguità universali dei rapporti umani e nel buio del dolore che non conosce oblio. Una lettura magnifica.