“Semina il vento” – Alessandro Perissinotto


Voto: 4 stelle / 5

Scritto da Alessandro Perissinotto e pubblicato da Piemme nel luglio 2013, “Semina il vento” affronta l’ostilità di chi discrimina colui che non appartiene alla propria terra, alle proprie tradizioni, trasformando la paura in qualcosa di pericoloso.

Trama di Semina il vento

Chi semina vento, secondo quanto dice il proverbio, ben sa cosa raccoglie. Eppure Giacomo Musso, il protagonista, vedendo arrivare nella classe di bambini in cui insegna, i carabinieri con l’aria tesa di chi sta per compiere un atto di giustizia, ha troppa confusione per immaginare la tempesta che sta avvenendo, o è già avvenuta. La sua memoria, al momento, fatica a ricostruire come il vento sia stato seminato.
Quest’uomo smarrito viene incarcerato e in prigione si prende del tempo, tutto il tempo della narrazione fino alle ultime righe, per rivedere le vicende che lì l’hanno condotto, aiutato dalle fotografie che si è fatto portare. La prima foto ritrae Shirin, sua moglie, una ragazza iraniana di cui si è innamorato quando lavorava a Parigi, prima di rifugiarsi con lei in un paesino di montagna piemontese. Cosa c’entra Shirin con il suo arresto? Cos’è successo? Come ha contribuito l’ambiente in cui hanno vissuto a logorare il loro sentimento?

Recensione

L’autore affonda la penna per mostrare l’ottusità che diventa palese ostilità verso chi non fa parte di un gruppo, in una tensione crescente. La lentezza nel procedere della narrazione non è difetto, forse proprio il contrario. Dapprima Shirin, la forestiera, sembra essere accettata nel nuovo ambiente, ma forse è un’accoglienza frutto di curiosità: indagare, stare a vedere, nell’attesa di scovare qualcosa di sbagliato. E qualcosa , quando si è determinati, si trova. Si procede per gradi, iniziando con l’esclusione, e poi l’intolleranza ha strada spianata. E’ un meccanismo subdolo in cui vengono coinvolti tutti, anche Giacomo il cui lavoro di insegnante non rispecchia le modalità desiderate dai genitori. L’uomo si sorprende però, a difendere le proprie radici di fronte alla moglie in un modo che mai avrebbe immaginato. E Shirin? All’inizio, appare inerte.

“Così brava ad esprimere tenerezza con le parole, Shirin era, al contrario, totalmente incapace di tirar fuori la rabbia. La collera le si cristallizzava nell’iride e cresceva dentro”.

Con il tempo la percezione del giudizio altrui si ingigantisce, travolgendo Giacomo.

“Il suo rimprovero muto, l’inizio di un gelo che sarebbe cresciuto. Avrei dovuto dirle che era ingiusta, che le colpe dei miei compaesani non dovevano ricadere sulla mia persona.”

Il loro rapporto inizia a traballare.

“Tra due persone, anche i silenzi posseggono sfumature di senso. Avevamo conosciuto i silenzi degli innamorati e entrambi sapevamo che quello che calava tra noi non lo era… L’amore non era scomparso, ma né io né lei avevamo voglia di cercare, schiacciati com’eravamo dal peso delle scelte sbagliate.”

Ci vuol poco a questo punto perché Shirin, annientata dal giudizio altrui, e Giacomo, confuso, non si ritrovino più, fino ad arrivare all’epilogo di cui non sveliamo nulla. Lo stile chiaro e il tema delicato scelto, scevro da giudizi, ci avvincono, ma il libro avrebbe mostrato le problematiche affrontate anche senza alcuni eccessi narrativi che suonano improbabili, finalizzati allo scopo di mostrare cosa succede in un paese così unito nel perseguire idee razziste.

Davvero impossibile pensare che anche una sola mano si levi, in un’intera comunità, per manifestare la sua dissociazione?

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